4 dicembre 2024 – incontro gruppo di lettura

Le montagne sono donne immense, eppure tante portano nomi di uomini.

«Una strangera.» Fu quell'uomo a chiamarmi così per la prima volta, e avrei voluto rispondere ciò che avrei detto a tutti gli altri in seguito, che lì in montagna io ero straniera esattamente quanto loro.

Prendere la propria vita e andare – per capire se stessa, trovare un futuro, non scendere più ma restare. Sono questi i motivi per cui, una mattina di maggio, Beatrice lascia Torino per trasferirsi tra le montagne. Quelle montagne che, ne è certa, sono donne anche se spesso recano nomi maschili. Donne come lei, che appena arrivata al rifugio del Barba, un uomo burbero dal passato misterioso, si sente respinta, in quanto fumna e strangera.

Marta Aidala ha il coraggio di una voce limpida che lascia parlare i gesti e gli accadimenti, i rumori del bosco, gli odori, la luce di un cielo alto sopra le cime. E sa raccontare nei dettagli più concreti una nuova epica, quella di una ragazza che va dietro alla propria libertà nonostante le esitazioni e le paure, una ragazza che cerca se stessa nei sentieri e tra gli uomini di montagna, in un mondo che sente suo anche se le vecchie tradizioni la guardano con diffidenza. Con timore e curiosità, come la guarda Elbio, il giovane malgaro con cui Beatrice instaurerà un legame profondo, fatto di ritrosie e slanci, in quell'intimità fragile e struggente che c'è tra due persone che si specchiano e si riconoscono. Quando l'estate finisce Beatrice però decide di non seguire Elbio a valle, rimane invece assieme al Barba in rifugio, luogo che ora, forse, sente di poter chiamare casa. Ma l'inverno senza neve le rivelerà una montagna inaspettata, spingendola a rimettere tutto in discussione, e interrogandola ancora una volta sul suo futuro, sulla persona che vuole essere e sui luoghi a cui sente di appartenere.  

https://gdlleparole.wordpress.com/2024/10/31/incontro-4-dicembre-2024/

In lettura – incontro 30 ottobre 2024

Emilia e Bruno cercano un rifugio dal proprio passato. Ma è davvero possibile riuscire a sottrarvisi?

Quando si è stati toccati dal male, spesso si sceglie la solitudine credendo che ci protegga e scoprendo che invece è un ulteriore castigo. È per questo che Emilia si è sepolta a Sassaia, un piccolo borgo tra le montagne dove spera di dimenticare ciò che le è costato anni di carcere. Ed è per questo che Bruno, schivo e solitario, in quel buco ci è rimasto: per dimenticare il male che ha subito e che non riesce a guarire. Lui è una vittima, lei una colpevole, due anime ferite che la vita unisce come per spronarle ad andare oltre: ad assolversi per il male fatto e per quello ricevuto, perché il peggiore dei mali è non saper perdonare e perché anche in un cuore nero c’è qualcosa di buono da salvare. Una storia di condanna e di salvezza, animata da due protagonisti fragili e umanissimi.

Incontro 30 ottobre 2024 – libro in lettura

29 agosto 2024 – incontro con l’autore

Lajos è un colto ingegnere ebreo ungherese, trasferito a Roma. Maria è una giovane italiana cattolica, dalle forti passioni sociali e politiche. La loro storia d'amore, che sboccia negli anni Trenta, è già di per sé una sfida al destino, in un Paese in cui il matrimonio tra persone di nazionalità e religioni diverse è complicato.

Ancor di più lo è sotto il fascismo: con l'inizio delle persecuzioni contro gli ebrei la loro quotidianità di famiglia borghese e benestante, costruita con impegno a Forlì, si sgretola con impressionante rapidità. Mentre il regime dà un giro di vite dopo l'altro,

Lajos perde la cittadinanza, il lavoro, infine rischia di perdere la libertà e la vita ed è costretto a fuggire insieme alla moglie e ai tre figli di cui uno gravemente malato. Nella solidale Romagna, la rete del soccorso li indirizza presso una signora generosa, Edvige Mancini, che abita in una grande casa nel paese di Premilcuore. Solo che la signora non sa che sono ebrei.

E gli Szegö non sanno che il cognome da nubile di quella donna così gentile è Mussolini: è la sorella del Duce e ospita, al piano superiore, anche un comando tedesco.

L'esistenza di Lajos e Maria e dei loro bambini si fa, se possibile, ancora più pericolosa e incerta. E la guerra non accenna a finire. Ottant'anni dopo i fatti, a narrare questa storia incredibile su una panchina vicino a casa è uno di quei tre bambini, Alberto Szegö. Dal suo incontro fortuito con Cristina Petit nasceranno un'amicizia sincera e questo racconto vero dal passo di romanzo, che intreccia storia del Novecento e lessico famigliare, tragedia e speranza: un'avventura nel tempo e nella memoria.

Incontro con l’autore – giovedì 8 agosto 2024

Una donna, una artista, una madre. Adelaida Gigli è stata una delle figure femminili più sorprendenti dell'Argentina del secolo scorso. Pronta a nascondere armi e dissidenti nella sua casa, a ridere in faccia al potere, a ribellarsi alle convenzioni, a mostrarsi esuberante e dissacrante, Adelaida ha espresso sempre sé stessa fino in fondo e ha dovuto pagare sulla propria pelle l'orrore della censura, della dittatura e della perdita. Il ritratto che ne fa Adrián N. Bravi è appassionato e vivo, irrinunciabile.

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Bravi da bambino visse per qualche anno in un sobborgo di Buenos Aires, San Fernando, e molto tempo dopo a Recanati, nel 1988, avrebbe conosciuto una donna che abitava nello stesso quartiere, Adelaida Gigli, con cui da quei giorni di fine anni Ottanta avrebbe condiviso una grande amicizia, costruita di parola in parola, di oggetto in oggetto, di taccuino in taccuino, di bicchiere in bicchiere, di memoria in memoria. Bravi è uno scrittore argentino ed è uno scrittore italiano, vive in Italia da molti anni e in italiano scrive i suoi libri. Bravi non dimentica la storia dell’Argentina, delle difficoltà sociali, della dittatura, non la può dimenticare, come non può farlo nessun argentino, non importa se sfuggito alle torture oppure no, se scampato a quegli anni oppure no. La strada per Bravi per riportarci a quelle storie, e non solo a quelle, è proprio l’incontro con Adelaida.

Incontro con l’autore – mercoledì 31 luglio

“In questo scritto "noi due nel tempo" ho voluto raccontare la mia storia, l’incontro e la vita trascorsa con il mio compagno. Neanche mezzo secolo d’età in due: d’amore e d’accordo abbiamo lavorato sodo, per migliorarci e fare progressi economicamente, assaporando anche la gioia di una famiglia unita.” (M.P.S.)

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Saranno protagoniste dell’incontro le sue ultime opere “Viole mammole” e “Noi due nel tempo”. Da tempo Maria Pia Silvestrini, voce nota a Senigallia per la sua passione nella poesia dialettale e in lingua, negli ultimi anni si è fatta conoscere anche per le sue opere pittoriche.

Incontro l’autore 18 Luglio 2024

In lettura estate 2024

Una donna italiana. Maria Oliverio, altrimenti conosciuta come Ciccilla, nasce a Casole, nella Sila calabrese, da famiglia poverissima. Dalle strade del paese si sale sulla montagna che è selvaggia, a volte oscura, a volte generosa come una madre. Quelle strade, quei sentieri li imbocca ragazzina quando la sorella maggiore Teresa, tornata a vivere in famiglia, le toglie il letto e il tetto. E quelli sono i sentieri che Maria prende per combattere al fianco di Pietro, brigante e ribelle, diventando presto la prima e unica donna a guidare una banda contro la ferocia dell’esercito regio. Se da una parte Teresa trama contro di lei una incomprensibile tela di odio, dall’altra Pietro la guida dentro l’amore senza risparmiarle la violenza che talora ai maschi piace incidere sul corpo delle donne. Ciccilla passa la giovinezza nei boschi, apprende la grammatica della libertà, legge la natura, impara a conoscere la montagna, a distinguere il giusto dall’ingiusto, e non teme di battersi, sia quando sono in gioco i sentimenti, sia quando è in gioco l’orizzonte ben più ampio di una nuova umanità. Il volo del nibbio, la muta complicità di una lupa, la maestà ferita di un larice, tutto le insegna che si può ricominciare ogni volta daccapo, per conquistarsi un futuro come donna, come rivoluzionaria, come italiana di una nazione che ancora non esiste ma che forse sta nascendo con lei.

“Gnanca na busia” è il racconto dell’esistenza, semplice eppure straordinaria, della contadina mantovana Clelia Marchi, che decise di scrivere i ricordi di settant’anni di vita su un lenzuolo. La testimonianza unica di un mondo rurale oggi così remoto e incomprensibile, racchiuso nelle parole della più umile dei suoi esponenti.

 

 

 

 

 

Uno di quelli porosti dai compnenti del gruppo

26 giugno 2024 – Incontro Gruppo di Lettura

Adelaida Gigli, è nata a Recanati nel 1927 e lì è morta nel 2010, in mezzo ha vissuto tra le frontiere, è stata argentina, è stata italiana, è stata scrittrice, artista e rivoluzionaria. Figlia del pittore Lorenzo Gigli, che durante il fascismo lasciò l’Italia per Buenos Aires con tutta la famiglia. La storia di Adelaida bambina comincia in qualche modo per le strade della capitale argentina e da lì, da quei quartieri inizia a raccontarla Adrián N. Bravi in Adelaida (Nutrimenti, 2024).  Si tratta di un libro meraviglioso, diciamolo subito. Bravi ha scritto un romanzo, un saggio sulla storia della dittatura argentina, un altro sulla letteratura argentina, un libro che è anche intervista e memoir. Soprattutto Bravi ha scritto una storia che offre gli strumenti per fuggire dai tiranni e dal dolore e su come nasce, si costruisce e resiste un’amicizia.

Molti degli amici di Adelaida, ancora prima del colpo di stato, avevano deciso di intraprendere la via dell’esilio e di non tornare più. Ed è per questo che non possiamo circoscrivere la dittatura a un arco temporale di otto anni, perché il terrore, l’abbandono, la scomparsa dei cari trascendono quella manciata d’anni, cambiando per sempre la vita delle persone, anche di coloro che non ebbero mai a che fare con il regime.

Bravi da bambino visse per qualche anno in un sobborgo di Buenos Aires, San Fernando, e molto tempo dopo a Recanati, nel 1988, avrebbe conosciuto una donna che abitava nello stesso quartiere, Adelaida Gigli, con cui da quei giorni di fine anni Ottanta avrebbe condiviso una grande amicizia, costruita di parola in parola, di oggetto in oggetto, di taccuino in taccuino, di bicchiere in bicchiere, di memoria in memoria. Bravi è uno scrittore argentino ed è uno scrittore italiano, vive in Italia da molti anni e in italiano scrive i suoi libri. Bravi non dimentica la storia dell’Argentina, delle difficoltà sociali, della dittatura, non la può dimenticare, come non può farlo nessun argentino, non importa se sfuggito alle torture oppure no, se scampato a quegli anni oppure no. La strada per Bravi per riportarci a quelle storie, e non solo a quelle, è proprio l’incontro con Adelaida.

In quell’anno abitavo a circa dieci isolati da lì e spesso ci passavo davanti quando andavo a prendere il treno. Non potevo allora immaginare che in quella casa, in via Conesa, una casa semplice con un giardino davanti, si nascondesse un centro di tortura. Era un quartiere tranquillo, con i marciapiedi larghi, pieni di alberi e di aiuole. E quando oggi mi rivedo in quelle strade, con la spensieratezza del ragazzino che ero in quel periodo, mi rendo conto di essere stato in una specie di Waterloo sotterranea che stava risucchiando un’intera generazione.

C’è una ragazza in fuga con una bambina piccola in braccio e Mini si chiama la ragazza e Ines si chiama la bambina. La ragazza scappa in uno zoo, affida la piccola a due ignari passanti, ma verrà comunque catturata dagli uomini di Videla. Stessa sorte capiterà ai suoi amici e a suo fratello Lorenzo Ismael. Sono entrambi figli di Adelaida Gigli e dello scrittore David Vinas, nessuno dei due farà più ritorno, di nessuno dei due si avrà più notizia.

Adelaida che ha sempre fatto politica attiva ha accolto in casa dissidenti e rivoluzionari, ha nascosto loro e le loro armi, non può più restare in Argentina senza figli, senza nessuna speranza. Scappa attraverso la frontiera con il Brasile e poi su una nave per Genova, ma questo è solo un pezzo della sua storia. Adelaida è stata scrittrice di racconti, di poesie, soprattutto fondatrice (e unica donna in redazione) della rivista Contorno che si contrapponeva a quella considerata più elitaria, la Sur di Victoria Ocampo.

Proprio su Ocampo, Adelaida scrisse uno dei suoi testi più noti. Il grosso della sua scrittura è celato, nascosto, svelato ora a chi non la conosce dal testo di Bravi. Adelaida Gigli, soprattutto fino a quasi gli ultimi anni di vita, è stata una ceramista. È stata una donna capace di sfidare chiunque, di non sottostare alle regole, di organizzare feste che si trasformavano in performance, di essere lei stessa un’opera visiva, un talento multiforme prestato alla vita. A Recanati le è stato intitolato un giardino e poi un altro, era una donna dall’ampio respiro, da aria aperta, dalla mente luminosa.

Non aveva mai avuto una pietra dove piangere i suoi morti e ora temeva che potessero scomparire anche dalla sua testa, ed è per questo, suppongo, che aveva il bisogno imperante di lasciare per iscritto, di proprio pugno, certe cose.

29 maggio 2024 – Incontro Gruppo di Lettura

Erano le 13.50 del 7 giugno 1918 quando un boato investì Castellazzo di Bollate: nella fabbrica di munizioni svizzero-tedesca Sutter & Thévenot ci fu una terribile esplosione in cui persero la vita 59 lavoratori. Di questi, 52 erano operaie addette alla produzione di bombe da trincea, tutte giovani tra i 14 ed i 30 anni. Prende spunto da questo tragico evento il nuovo romanzo di Ilaria Rossetti, “La fabbrica delle ragazze“, edito da Bompiani, pubblicato lo scorso 24 gennaio, già candidato al Premio Strega 2024, che verrà presentato venerdì 8 marzo alle 21 nella biblioteca comunale di piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa a Bollate.

"Non conoscevo questa storia, l’ho scoperta in modo del tutto casuale. Nel 2020 in piena pandemia stavo ragionando su un nuovo libro e in particolare mi stavo documentando su un problema molto attuale, le morti sul lavoro in Italia, quando su Wikipedia ho letto la storia dell’esplosione della fabbrica, poche righe che mi hanno colpito – racconta la scrittrice lodigiana –. Mi ha incuriosito e l’ho approfondita con le notizie che c’erano sul web. Ho capito che poteva essere una storia interessante perché aveva molti ‘varchi’ per il racconto".

27 marzo 2024 – incontro con Enrico Vergoni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì 27 marzo Enrico Vergoni ci ha presentato il suo primo romanzo.

È  stata una serata molto piacevole ed Enrico ci ha fatto capire la differenza tra lo scrivere poesie e un romanzo.

Ha letto alcuni punti dal “prologo”
Sentiamoci liberi di essere noi stessi

Sentiamoci liberi di fare l’amore con il cuore in gola …

Sentiamoci liberi di fare due birre in spiaggia a raccontarci la vita e le sue paure, una sigaretta fino all'alba senza gruppi WhatsApp in cui non si sa mai che caxxo Scrivere.

Sentiamoci liberi di avere quarant’anni ma ogni tanto fare qualche caxxata

Sentiamoci liberi di sorridere sempre e perderci in mille tramonti da condividere (non sui social) con chi ci ama

Sentiamoci liberi di dire quello che pensiamo, che a forza di silenzi il mondo sta marcendo
Sentiamoci liberi e orgogliosi di essere italiani. Siamo tutti figli di Falcone e Borsellino, del loro coraggio e del sorriso che hanno in quella meravigliosa foto che custodiamo tutti nel cuore. 
Sentiamoci liberi di vivere come in un film! Che la vita è bella e se ti impegni puoi vincere perfino l’oscar.
Poi si è passati a parlare più in dettaglio del personaggio.

-È tutto liquido. Io in questo liquido ci nuoto- Un inno al menefreghismo? Lui su questo sa molto. Col protagonista ho voluto dargli una valenza molto contraria rispetto alla mia. G è uno che dice qui ormai sul mondo non ci capisco più niente. Allora lui sta sul balcone con la sigaretta e sì, se lui c’ha l'estetista l'acido ialuronico, l'amichetta del sabato sera e dice a me,non me ne frega niente, gioca a calcetto, fa un passo indietro rispetto ai tempi. 
È tutto quello che io ho sempre detestato delle persone ma l'ho voluto mettere come protagonista del libro. Per me è uno sconfitto perché rinuncia a capire e rinuncia a vivere. Però mi piaceva questo personaggio così lontano da me e sarebbe stato troppo facile fare un selfie. Non è un selfie, non è un selfie, questo sicuramente 
Lui ha un padre che è il contrario di lui ,ha un padre che credeva nella politica, nel volontariato, gli regalava i libri, leggeva i libri, comprava la Repubblica, gliela portava, aveva la foto di Berlinguer in casa. Quindi ha un padre. Sì, sì. 
Lui invece guarda sta gente. Infatti c'è una battuta dice “Io a Enrico Berlinguer preferisco Moana Pozzi”. Ok, in quel momento, perché lui proprio ci rinuncia, non è una sconfitta ma una delusione.

Forse di quegli anni lì, probabilmente. 

Ma neanche è il prototipo forse dell'italiano di oggi. Purtroppo. Ma è così e forse è la maggioranza silenziosa del Paese di cui noi scriviamo libri, leggiamo i giornali, facciamo politica, andiamo nelle scuole, forse non la capiamo. E la maggioranza silenziosa che noi, forse intellettuali un po’ radical chic no, non la capiamo. Poi ce ne accorgiamo il giorno dopo le elezioni. E purtroppo è così. E dicevo prima dell'11 settembre che per me è stato il punto, è stata la fine degli anni 90 è stato veramente lo spartiacque.


Conclusione
G è un personaggio che vince sempre perché non si schiera mai. Queste sono persone che mi fanno una grande rabbia, però le ho volute mettere perché ho detto quando mi ricapita di scrivere una cosa negativa? E quindi ho voluto mettere tutti i difetti. Che poi il bello del romanzo è questo, inventi un personaggio e lo riempi di tutti i tuoi difetti, poi è come se andassi sul lettino dell'analista e forse verrebbe fuori che sono peggio di lui, ok? 
Sì, perché poi ci piace scaricare i nostri difetti sempre su qualcun altro o personaggi fittizi o personaggi reali. Questo ci salva la coscienza.
A fine serata è stato interessante anche il confronto con i partecipanti che hanno raccontato le diverse esperienze vissute nella loro adolescenza. 
Grazie ancora Enrico.

Calendario
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Alberto Lupo legge Kipling “SE”

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Arnoldo Foa legge Leopardi

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