Incontro 5 novembre 2013
Incontro del gruppo di lettura presso la Biblioteca Comunale ore 21.00, P.zza Garibaldi 3, primo piano.
Alessandro Perissinotto "Le colpe die padri"
Finalista Premio Strega 2013. Torino, anni Settanta. La Fiat, i quartieri-dormitorio nati velocemente e senza una vera logica urbanistica, le lotte sindacali, gli scioperi, le manifestazioni, la violenza, le Brigate Rosse, i politici, i dirigenti, i capi del personale o i capireparto gambizzati o uccisi e i figli dei politici che sparano, e poi i licenziamenti, la cassa integrazione, i suicidi.
Torino, anni Duemila. Le aziende che non ruotano più solo attorno alla Fiat, i quartieri-dormitorio sempre più degradati, le lotte sindacali finite, gli scioperi inutili, le rare manifestazioni e gli ancor più rari episodi di violenza nei confronti di dirigenti, politici, capireparto, e poi i licenziamenti, la cassa integrazione, i suicidi. Una città, due epoche storico-sociali e due momenti nella vita di un uomo.
Lui – Guido Marchisio – è un alto dirigente di un'azienda multinazionale. La sua infanzia (è nato nel 1966) dovrebbe essere legata alla prima Torino, quella degli anni Settanta. Ma stranamente ricorda poco o nulla di quei momenti. È un uomo di successo, divorziato, che ora vive con una bellissima donna molto più giovane di lui, ha una casa prestigiosa in piazza Castello, genitori della migliore borghesia torinese, un modello di auto aziendale adeguato, una vita sociale importante e un compito di grande responsabilità: guidare il piano di "ristrutturazione" interna della fabbrica fermando due linee di produzione e stabilendo licenziamenti e cassa integrazione.
Di Ernesto Bolle non sa nulla. Non l'ha mai sentito neppure nominare. Eppure, quando casualmente si ferma in un bar del popolare quartiere della Falchera – "le coincidenze non esistono" -, qualcuno lo scambia per lui. Stessi occhi di colore diverso, stesso neo sullo zigomo destro… Un gemello? Tutti abbiamo un gemello al mondo. Un doppio. A volte li incontriamo, più spesso no. Per Guido inizialmente è solo una piccola spina, quasi un fastidio, un pensiero che ronza. Ma via via diventa sempre più importante quel nome, quel suo doppio, quella storia misteriosa che sembra nascondere un segreto oscuro.
La storia personale si intreccia con la rappresentazione dei meccanismi di intimidazione e seduzione del potere. Il doppio si ripercuote anche in quest'ambito: la visione delle alte sfere aziendali ed economiche e quella – legata al passato ma contestualizzata anche nel presente – della classe operaia, delle fasce impiegatizie di basso e medio livello, del rapporto precario che sta alla base del mondo del lavoro.
Nel libro troviamo molti personaggi calpestati, umiliati, che lottano per non essere distrutti, per avere ancora un po' di spazio che permetta loro di sopravvivere in questa società dominata dalla forza, e lo fanno in maniera civile, non violenta. Ma centrali nella storia sono anche quelli che hanno preso le armi e hanno sparato, che alla forza hanno contrapposto la forza, alla violenza fisica e morale, la violenza. E le loro vittime.
Il romanzo – una biografia, un'intervista, un'indagine – è basato su un movimento concentrico che partendo dall'esterno, dai cerchi dialogici più larghi, si restringe verso il cuore della vicenda chiudendo sempre più lo spazio, diminuendo la possibilità di fuga, creando una forza centripeta che non permette ai protagonisti di allontanarsi, di sfuggire (anche quando lo vorrebbero) dalla verità. Le colpe dei padri (e delle madri dovremmo dire), i loro errori, si riversano sui figli, inevitabilmente.
Perissinotto a tratti entra anche nella verità storica, cita nomi e fatti. Lo scrittore si rivolge direttamente al lettore e racconta stralci della nostra storia comune, in particolare dei terribili "anni di piombo" e di chi ne è stato vittima, ma ormai dimenticato.
"La morte non conosce gerarchie – scrive parlando di quelle vittime – ma è pur vero che, degli anni di piombo, alcune vittime riposano in un pantheon privilegiato, visitato periodicamente dai media, dagli storici, dai documentaristi e altre giacciono in cimiteri alla periferia della memoria, in cui solo i parenti più stretti portano fiori". (La recensione di IBS)
Commento di Valeria Gramolini
Ancora una volta Alessandro Perissinotto sorprende ed affascina per la sua capacità di tessere storie belle come arazzi in cui la trama della contemporaneità si lega ai vissuti personali in intrecci verosimili ed avvincenti.
In continua alternanza tra introspezione psicologica e cronistorie dettagliate l'autore dipinge paesaggi reali ed attualissimi di mondi in divenire, in cui i protagonisti annaspano alla ricerca di un'autenticità loro negata dalle congiunture della vita o faticosamente conquistata a prezzo di grandi fallimenti o gesti estremi e risolutivi.
Che si tratti della ragazza francese nata da genitori iraniani emigrati in Francia, costretta dal rifiuto di un Nord Italia attraversato dalle idiozie leghiste a cercare nel radicalismo della fratellanza musulmana radici ed appartenenze inesistenti ( vedi "Semina il vento"), oppure di Guido Marchisio, affermato dirigente di una multinazionale scopertosi casualmente figlio di genitori rivoluzionari, entrambi, più o meno repentinamente, prendono coscienza dell'abissale distanza tra ciò che sono diventati e ciò che avrebbero dovuto o potuto essere.
Credo che nella vita di ognuno prima o poi accade qualcosa che ci costringe a gettare la maschera. Sovente sono i nostri stessi genitori ad obbligarci ad indossarla quando cercano di costruirei secondo i loro miti o valori, ignorando sistematicamente le nostre propensioni naturali. Di fatto però anch'essi sono stati forgiati all'interno di realtà sociali che non hanno scelto liberamente ma a cui hanno dovuto adattarsi: migrazioni, boom economico, globalizzazione, saturazione del mercato, modelli di sviluppo superati e da rivisitare in modo critico, squallore della politica ….
Ecco dunque che il racconto del disagio personale dei protagonisti, così efficacemente descritto dall'autore attraverso quei tormenti e quelle ossessioni che spingono i suoi protagonisti a cercare le proprie radici in nome di un'autenticità che dovrebbe rendere liberi, diventa per ciò stesso strumento di denuncia.
Quelle vite spezzate assurgono ad emblema di quel massacro dell'anima e del corpo perpetrato dall'industrialismo e dal modernismo, con le sue catene di montaggio, i turni massacranti, le grandi concentrazioni operaie in fabbriche grandi come città ( la Fiat di Torino), il mito del lavoro che conferisce dignità e democrazia a quanti, consumando il prodotto della propria fatica, assieme ad un nuovo benessere hanno costruito anche la propria dannazione.
Le città infatti sono diventate invivibili e brutte, con i loro palazzoni che oscurano il profilo dei monti ed il rosso dei tramonti ( che ormai si colgono solo nelle periferie degradate), con il traffico divenuto insostenibile e la sua umanità persa nella fretta e nella confusione di rotatorie infinite e parcheggi demenziali.
Ma, la cosa più assurda, è che come la vittima può affezionarsi al suo carnefice, così quegli operai sfruttati e disumanizzati in nome di profitti indicibili concentrati nelle mani di pochi, sono costretti ad amare la fabbrica per poter sopravvivere.
La Fiat, da madre dispensatrice di nutrimento dei primi tempi, quelli del miracolo economico quando c'era l'Italia da ricostruire e l'orgoglio di essere Italiani, quando assieme alla fatica c'era anche l'amore per ciò che si faceva e l'amicizia verso i propri colleghi di lavoro, la Fiat dunque diventa sempre più matrigna. L'automazione dà il via a licenziamenti massicci. Poi ci sarà la globalizzazione e la delocalizzazione a segnare il declino e la fine di un'epoca durata cinquant'anni, con il suo corredo di lotte sindacali, l'estremismo rivoluzionario delle brigate rosse, i sequestri e le gambizzazioni, i suicidi quasi di massa e .. .l'odio che serpeggia ovunque, perché il fratello e compagno di prima diventa il rivale, colui che può strapparci il lavoro.
Lo smarrimento di Guido, lacerato tra il suo ruolo di aguzzino ( che gli diventa chiaro solo quando prende coscienza di ciò che sta facendo) e la ricostruzione di un passato che lo pone sull'altro lato della barricata, si tramuta in sensazione di fallimento ed apatia. A poco a poco certezze ed abitudini si sgretolano, ma con esse anche valori e priorità.
Doveva frequentare il mondo degli ultimi, i compagni d'infanzia e l'amica del cuore, quella loro quotidianità fatta di cose piccole e semplici ma anche di tanti desideri e frustrazioni, per riuscire a provare vergogna di se stesso. Ora sa cosa significa vivere sulla soglia della povertà e non può più tollerare di stare al gioco, burattino anche lui, nelle mani di quei furbi che ormai anche noi abbiamo imparato a conoscere attraverso le cronache di questi ultimi anni, in cui s'è perso ogni minimo pudore.
Così, mentre non hanno più alcun potere su di lui le manovre e le strategie di chi lo usa come capro espiatorio, perché esegua senza alcun sentimento di pietà i tagli del personale richiesti dalla ristrutturazione-delocalizzazione, ritrova il bandolo della propria esistenza sospesa da uno scherzo del destino.
Tornando a se stesso inventa un futuro diverso da quello programmato.
Non importa sapere quanto c'entri la genetica nella forza propulsiva di quel vecchio sogno di diventare veterinario soffocato dai suoi genitori adottivi. Sa solo che non può più continuare a fingere di essere ciò che non è, a far suoi i desideri e le aspirazioni che altri gli hanno inculcato con un sistematico lavaggio del cervello.
E' la marginalità ad averglielo insegnato, la possibilità intravista di una serenità fatta magari solo di baci o di passeggiate lungo un fiume da cui si levano nebbie dense di magia, in compagnia di un vecchio cane a cui si sente di dare un pò d'affetto, quella periferia che trasuda vinti ed emarginazione ma in cui si può trarre conforto dalla natura, cogliere ancora il verde dei campi, l'azzurro del cielo, la pace del silenzio.
Lo stesso accade in "Semina il vento", laddove il protagonista, travolto da una tragedia famigliare e collettiva che solo questi tempi insani avrebbero potuto partorire, tornando al paese delle proprie radici, di cui si rassegna ad accettare limiti e contraddizioni, trova comunque nella natura la consolazione di quella bellezza che ormai il mondo degli uomini sembra non essere più capace di creare. Perché è proprio nella sacra solennità e verità di un mondo liberato da pregiudizi ed illusorie promesse di felicità che l'essere umano può avvicinarsi alla parte migliore di sè e magari anche creare cultura, quella cultura generatrice di valore che la Torino del passato testimonia attraverso le figure emblematiche dei suoi pensatori, intellettuali o scrittori come Pavese.
Bisogna ricontattare l'essenza radicale dell'esistenza per cercare di far fronte alla disumanizzazione della contemporaneità, riprendere in mano il filo delle nostre esistenze, spezzate da quelle finte identità che una società "matrigna" ci ha imposto, condizionandoci ad interpretare ruoli che non ci appartengono, abiti mentali costruiti per il profitto di pochi ponendoci gli uni contro gli altri, in una competizione cinica e sfrenata.
In un momento storico in cui non esiste più non solo il deterrente della lotta armata delle brigate rosse, ma sembra essere vana anche ogni altra forma di reazione e di protesta sindacale, sono i suicidi e le violenze verso i propri famigliari ed in particolare le donne il segno tragico della sofferenza. Solo coloro che di necessità fanno virtù sembrano sottrarsi a questa spirale di follia sempre più diffusa: solidarietà, sobrietà, condivisione, ritorno alla terra come forma primigenia di sostentamento fisico e benessere spirituale sembrano essere al momento le uniche alternative possibili a questo progressivo imbarbarimento.
Confido nel fatto che queste nuove tendenze possano diffondersi e trasformarsi in un vero ed autentico modello di vita a misura d'uomo.
Incontro GdL del 5.11.2013. "Le colpe dei padri" è il libro di Alessandro Perissinotto che il GdL ha letto questo mese. Questa trilogia che abbiamo terminato con l'ultimo libro uscito di questo autore ( finalista al Premio Strega 2013 ) è stata gradita da tutti. Perissinotto affronta temi molto attuali che riesce ad incastrare molto bene nella trama dei suoi romanzi. Qui ritroviamo la Torino del boom economico, quando le grandi fabbriche davano lavoro a molte persone; poi le stesse fabbriche, ormai automatizzate, licenziano coloro che prima erano arrivati anche dal sud, ed il protagonista si accorge tardi di essere una pedina in mano
di altri, ma nel momento in cui se ne rende conto lascia tutto e va verso un futuro diverso da quello programmato per lui. Per la lettura ad alta voce è stato letto un racconto di Dino Buzzati, "Lettera d'amore". Il protagonista arde d'amore per una certa Ornella, e così inizia a scriverle una lettera da innamorato, viene però interrotto continuamente ed infine è costretto a metterla da parte. A fine giornata nel risistemare la sua scrivania, ritrova il foglio della lettera, solo che ormai il suo cuore si è raffreddato e non si ricorda più nemmeno chi sia questa Ornella.