Incontro Gruppo di Lettura 11 dicembre 2018
Io non ti lascio solo viaggia su tre linee temporali: il presente, un’avventura intrapresa da due amici venti anni prima e un caso risalente a trent’anni or sono. Tre diversi periodi uniti dallo stesso filo conduttore: la scoperta di una verità rimasta a lungo seppellita.
Un ragazzo, impegnato nella ristrutturazione di una casa, trova tra le fondamenta due diari: Rullo e Filo, sono i nomi incisi, uno per diario, e li porta al maresciallo del paese. Non lo sa il ragazzo che quel gesto apre un abisso nella vita del maresciallo, che risale a molti anni prima.
Venti anni prima. Rullo e Filo, amici inseparabili, partono alla ricerca di un’avventura per ritrovare Birillo, il cagnolino di Filo scappato durante un temporale qualche settimana prima. E tra accampamenti nei boschi, incontri e nuove amicizie, girovagano tra le mura del paesino alla ricerca di un piano per recuperare Birillo, e si perdono nei racconti e nelle storie che dopo tanti anni ancora aleggiano nell’aria circostante. Storie di investigazioni e ricerche in una casa in periferia, la stessa dove sono stati ritrovati i diari dei due ragazzini.
La storia di un’amicizia raccontata attraverso due diari
Due diari, uno rosso, l’altro nero, due ricerche a distanza di dieci anni l’una dall’altra, un unico maresciallo. Il lettore conosce le vicende presenti e passate all’interno del libro attraverso tre voci narranti: quelle di Rullo e Filo nei racconti dei loro diari, quella del maresciallo che si perde nei ricordi, a volte, nelle riflessioni dell’oggi, altre.
Il romanzo è la storia di un’amicizia, quella che dura una vita, anche quando, per un motivo o per un altro, non ci si vede più, perché «Mica si può vedere sempre tutto. Vedi alcune cose, ti soffermi a osservarle e sparisce tutto il resto. Una cosa va in figura e il resto diventa sfondo, e nello sfondo la figura si perde, finché non torna di nuovo in figura, ma in quel momento la figura di prima si perde nello sfondo, è un ciclo infinito. Non c’è figura senza sfondo, né sfondo senza figura».
È la storia di un uomo rimasto intrappolato in un paesino sperduto per tutti quegli anni, per un caso che non è riuscito a risolvere, per una coscienza che non è riuscito ad ignorare. È la storia delle perdite, dei dolori, quelli che ti lacerano così tanto all’interno da non poterli affrontare, quelli che pur di superarli ci ci aggrappa ad un appiglio, seppure invisibile, ma che non fa sentire soli.
GIANLUCA ANTONI
Io non ti lascio solo
(commento di Valeria G.)
Non è da tutti immaginare una storia così ingarbugliata o, meglio, non è da tutti riuscire a portare avanti fino in fondo un intreccio così articolato senza perdere di vista l'invisibile filo rosso che regge e lega tutto l'impianto, tra personaggi che compaiono e scompaiono e colpi di scena finali scoppiettanti e pirotecnici. Per riuscire a farlo in modo apparentemente tanto semplice e naturale ci vuole una mente abituata a muoversi nei labirinti del pensiero senza perdersi, una mente cioè determinata a giungere proprio là dove ha deciso.
Di solito questo è quanto fanno gli scrittori di libri gialli o noir, ed è così che ci viene presentato questo racconto di genere il quale ha pure vinto un premio (Romics) nel 2017. Solo che l'autore non è, almeno finora, uno scrittore di gialli, bensì uno psicoterapeuta. La faccenda comunque non dovrebbe sorprendere più di tanto visto che entrambi hanno maturato la consuetudine a cimentarsi con vicende umane contorte, misteriose…, come quelle che ci racconta il nostro subconscio ed i cui trucchetti ormai essi conoscono a menadito.
Allo stesso modo che nell' eterna diatriba tra chi sia nato prima, se l'uovo o la gallina, anche in questo caso viene da chiedersi se la storia si sia costruita strada facendo, oppure, al contrario, non sia nata dalla necessità di giustificare, in quanto premessa, ciò che poi si sarebbe palesato alla fine e che certamente non poteva essere rivelato prima.
O forse, invece, c'erano tante idee, situazioni e personaggi sparsi e fluttuanti nella vaghezza dell'immaginario, i quali un poco alla volta si sono materializzati trovando spazi appropriati e relazioni significative gli uni rispetto gli altri…Mah…! (Per fortuna incontreremo l'autore ed ogni nostra morbosa curiosità sarà soddisfatta…).
Poichè i protagonisti sono “due” ragazzi, suppongo che il testo sia stato pensato proprio per i giovanissimi, tuttavia è innegabile che anche degli adulti che si sentono ancora tali possano trovare gustose le vicende avventurose e un po' spaccone che vi sono narrate, proprio come quando si seguono prima distrattamente e poi con piacere i cartoni animati di figli e nipoti.
E, proprio come in un libro per ragazzi, anche in questo si possono individuare le stesse figure e la stessa struttura di una fiaba classica (se un vago ricordo delle teorie di Propp al riguardo non m'inganna).
Tanto per cominciare, come in ogni fiaba, all'origine di tutto c'è una perdita, una lesione, una situazione di sofferenza e di incomprensione, a cui segue necessariamente una partenza, un viaggio verso luoghi sconosciuti alla ricerca di soluzioni, e/o di persone che possano ristabilire un ordine o procurare la felicità agognata, ad esempio principi o principesse o, nel nostro caso, un cane smarrito. A compiere l'impresa è una figura eroica o che tale diventerà strada facendo, dopo aver superato delle prove. Può essere un cavaliere, un principe, Ulisse stesso o un bambino particolarmente coraggioso e motivato, come il nostro Filo. Per compiere l'opera infatti occorrono virtù speciali, a volte doti o strumenti magici, perché i nemici sono particolarmente potenti e malvagi. Contro orchi, bestie feroci (Diablo), giganti (Guelfo)…non si può nulla se non si ha la forza fisica per affrontarli o la furbizia per ingannarli, o se non si possiedono dei validi aiutanti, qualcuno che abbracci la causa dell'eroe e lo sostenga nella sua epica impresa. Filo li troverà in Amélie e Scacco, ed alla fine vedrà realizzato il suo sogno. Non conquisterà un trono, né sposerà una principessa ma diventerà grande, vincerà le sue ossessioni e scioglierà i suoi dubbi.
In tutti i più grandi miti ogni prova da superare è parte di un rituale d'iniziazione comune a tutta l'umanità, un archetipo presente in ogni cultura che sottolinea i passaggi necessari per diventare uomini o donne adulti. Come non accorgersi che è proprio questo ciò che accade nell'esistenza di ognuno? Non si affronta meglio infatti la fatica di vivere se si è forti fisicamente, se non si è stupidi ed anzi anche un po' furbi, se si hanno amici che ci danno una mano nelle difficoltà? E non ci sembra di essere un po' più grandi e soddisfatti dopo aver vinto una sfida con qualcuno o anche solo con noi stessi?
Ma torniamo al nostro racconto.
Pur presentando le caratteristiche formali di una fiaba classica “Io non ti lascio solo” è pur sempre una fiaba moderna. Anche se il tempo è vago e non precisato, né compare nessuna di quelle “diavolerie” moderne come computer e telefonini e neppure tv, bensì cacciatori, cercatori di tartufi e negozianti che scrivono a mano, come un tempo, il prezzo sulla confezione, avvengono cose che non sarebbero potute accadere ad esempio cento anni fa. Dunque si tratta di un tempo ”umano”, dove l'ingombro tecnologico lascia finalmente il posto alle relazioni, ai sentimenti, alle emozioni.
Per riassumere e chiarire a me stessa tutta la faccenda sento la necessità di riportarla dentro gli schemi di una narrazione cronologica, perciò quello che segue ora è un tentativo di riformulare i fatti partendo proprio da quel finale a sorpresa che lascia davvero basiti tanto è forte sul piano emozionale, anche perché di finali e di rivelazioni ce n'è più di uno: una sommatoria di casi umani difficili e complessi che, come i nodi nei capelli, giungono al pettine tutti insieme.
Un bel salto rispetto alla linearità giocosa, ingenua e fanciullesca dei primi tre quarti del libro, dove protagonisti sono i bambini, con i loro dialoghi semplici e le loro mirabolanti fantasie, le quali però altro non sono che gli effetti di accadimenti gravi e remoti tra loro concatenati, così inverosimilmente intrecciati da sembrare falsi o forzati, o che tutt'al più si potrebbero annoverare tra quelle realtà che – a volte si dice- superano la fantasia.
Spoiler
Chi non avesse ancora letto il libro è pregato di saltare questa parte se non vuole rovinarsi la sorpresa. Procederò elencando i fatti più salienti che sono causa ed origine di tutta la narrazione e che solo alla fine scopriamo:
➢ Per lasciare una famiglia problematica da cui non riceve amore, una giovane donna si sposa con Guelfo, un uomo rude che non ama e che si rivelerà violento e possessivo
➢ La donna tradisce il marito con un altro uomo di cui invece è innamorata e che prova lo stesso sentimento. Dalla relazione nascono due gemelli mentre ancora la donna vive con il compagno legittimo.
➢ Confessata la relazione, ma non la vera paternità, dopo l'ennesima violenza la donna scappa lasciando uno dei due bambini al marito, con il proposito di tornare a prenderlo in un secondo momento.
➢ Ciò però non accadrà mai perché nel frattempo quel bambino muore, ma l'uomo nasconde il fatto non sopportando l'idea che, per conoscere le cause della morte, gli inquirenti dovrebbero eseguire l'autopsia sul corpicino.
➢ Ne denuncia invece la scomparsa, come se fosse stato rapito. Viene indagato da un maresciallo, le cui indagini devono arrestarsi per mancanza di prove. (Per acquietare la propria coscienza Guelfo aveva fatto visitare la creatura da un suo amico medico che ne aveva riconosciuto la morte naturale e mantenuto il segreto su tutta la vicenda per sdebitarsi con lui, avendogli salvato la vita anni prima).
➢ Pensando che Guelfo avesse nascosto il bambino o addirittura ucciso, la donna entra in una profonda depressione che sfocia nel suicidio.
➢ Intanto Filo, il bambino che aveva portato con sé, era cresciuto, ne aveva mai saputo di avere un fratello gemello. Quando la madre muore non trova conforto nel padre, il quale per sfuggire al dolore della perdita si rifugia nell'alcol, bensì in un amico immaginario che chiama Rullo e che sarà presente a lungo nella sua mente, nonostante le cure e le preoccupazioni paterne.
➢ Un giorno il cane Birillo scompare sui monti, dove il padre di Filo l'aveva condotto a cercar tartufi. Filo si adira con il padre e, zaino in spalla, decide di andarlo a cercare assieme al suo amico immaginario, patologia, questa, che per tutta la durata del libro sarà celata al lettore.
➢ Mentre Filo è capace ed ardimentoso, Rullo è fifone e poco perspicace. I due bisticciano ma poi si riappacificano, si lasciano e si cercano di nuovo volendosi un gran bene. Filo è dominante e Rullo si costringe a superare le sue paure pur di essere di aiuto a Filo e mostrargli di essere davvero suo amico.
➢ Dopo un viaggio avventuroso risalendo il corso di un fiume, con notti in tenda sotto le stelle, giungono in un piccolo borgo dove incontrano una bambina, Amélie, ed un tipo bizzarro di nome Scacco, divenuto strano dopo la perdita di entrambi i genitori. Filo viene dunque a saper che lì vicino, in una casa grande e recintata dal filo spinato, vive un uomo grosso e cattivo di nome Guelfo, di cui si dice abbia ucciso il figlioletto, e che potrebbe aver preso il cane che Filo cerca, avendo già molti cani, tra i quali un terribile dobeman di nome Diablo.
➢ Comincia dunque la ricerca di Birillo e la guerra contro Guelfo, che si dimostra subito un acerrimo nemico. Prima da soli, poi aiutati dalla bambina e dal suo strano amico, i “due” danno l'assalto alla casa, combinandone di cotte e di crude e mostrandosi all'altezza della situazione, tant'è che alla fine Guelfo sarà ben contento di chiedere aiuto a quel maresciallo, che l'aveva a suo tempo accusato, pur di liberarsi di quella banda di ragazzini.
➢ Durante l'incursione in casa di Guelfo e la prigionia in cantina, Filo e “Rullo” compilano due diari raccontando quanto sta accadendo e li nascondono in una crepa del muro. Sono i diari che vengono trovati all'inizio del libro e consegnati al maresciallo dall'operaio che sta restaurando la casa.
➢ Mentre si trova nella casa di Guelfo, Filo si imbatte casualmente in una foto che ritrae sua madre con un bambino in braccio e si immagina di essere lui quel bambino e che quell'uomo così cattivo sia suo padre. Ne è assolutamente inorridito oltre che profondamente disgustato e amareggiato, ma sarà proprio per conoscere la verità che imbraccerà il fucile e terrà Guelfo sotto tiro, finché Amélie non chiamerà il maresciallo.
➢ Intanto che Guelfo racconta il suo segreto e Filo, sconvolto e confuso, intuisce un'ombra di verità, suo padre avvisa i carabinieri della scomparsa del bambino ed indica loro dove potrebbe trovarsi, sapendo che Filo conosce la montagna ed è un ragazzino in gamba.
➢ Iniziano le ricerche che avvengono in due momenti: il primo, infruttuoso, porta il maresciallo in quei tristi luoghi che aveva già esplorato ai tempi della scomparsa di quel primo bambino, il secondo, grazie alla telefonata di Amélie, segnerà la fine della ricerca.
➢ Quando il padre di Filo giunge sul posto assieme al maresciallo, il bambino si rifiuta di andarsene via con loro. Vuole andare a cercare Rullo, che immagina abbia preso la via del fiume. Consapevole che questo è il momento di stargli vicino e non di prendersela per quel bambino immaginario, l'uomo accompagna il figlio nell'avventura più importante, quella che metterà finalmente tutto in chiaro, compresa la fine del cane, e sarà proprio attraverso la verità che anche la comprensione, l'amore e la fiducia tra padre e figlio cominceranno a scorrere di nuovo e Rullo a poco a poco potrà definitivamente scomparire dalle loro vite.
➢ Dopo vent' anni Filo torna da ciclista in quei luoghi ed incontra con gioia la sua vecchia amica Amèlie, diventata nel frattempo una bella ragazza. L'antica simpatia si rinsalda anche alla vista di Scacco, di cui ormai la ragazza si occupa non essendoci davvero più nessuno ormai ad avere cura di lui.
Ecco, ho cercato di ricomporre il puzzle, così come la memoria me lo permette, partendo dalle cause e non dagli effetti, cioè facendo il contrario degli psicoterapeuti. Detta così, pur così miseramente raccontata, partendo dalla fine, tutta questa complicata faccenda sarebbe già una bella storia, ma l'autore non si è accontentato di fornircela in modo così lineare. Troppo banale, o troppo per adulti…Ha fatto invece come Calvino con il suo “I sentieri dei nidi di ragno”, nel quale ha descritto le malefatte della guerra attraverso gli occhi di un bambino per non trovarsi impastoiato in una narrazione troppo scontata. Chissà invece quale era l'intento di Gianluca Antoni? Tenersi sul facile o parlare del male, nelle sue varie e mutevoli forme, rivolgendosi ad un pubblico giovane, se non addirittura giovanissimo? O semplicemente divertirsi, giocare coi personaggi ed i diversi punti di vista senza calcare troppo la mano sulle problematiche certo non facili che sono alla base di questa avventura?
Mi piacerebbe sapere che reazione hanno avuto i ragazzi che hanno letto queste pagine, se e quanto, più che la drammaticità della storia – del resto sono già abituati ad immagini e racconti assai truci e spesso neppure inventati – abbiano invece colto l'avventura, o l'amicizia, o la spavalderia ed il coraggio. Forse anche qualcuno di loro ha un amico immaginario o un fratello gemello lontano, ed allora questa lettura li avrà sollecitati a riflettere su alcune di queste situazioni familiari.
Magari invece si sono semplicemente divertiti, immedesimandosi nei dialoghi, negli sfottimenti, nei litigi e nelle riappacificazioni di Filo e Rullo, così come capita con i propri amici un po' odiati ed un po' amati, o ritrovandosi nelle spacconate comiche e gradasse di quella guerra contro il gigante Guelfo ed il suo terribile cane, con i pollai buttati all'aria, le cantine allagate, e la paura di essere acchiappati e divorati. Si saranno sentiti anch'essi eroi per un giorno, o per tutto il tempo della lettura e così facendo, catarchicamente – come nel teatro greco – , avranno vissuto la rabbia e la frustrazione per le verità taciute o l'angoscia della paura, l'avranno sfidata e l'avranno vinta e saranno diventati un po' più grandi. Come facciamo tutti, del resto, ogni volta che ci capita di leggere qualcosa che ci tocca da vicino.