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26 giugno 2024 – Incontro Gruppo di Lettura
Adelaida Gigli, è nata a Recanati nel 1927 e lì è morta nel 2010, in mezzo ha vissuto tra le frontiere, è stata argentina, è stata italiana, è stata scrittrice, artista e rivoluzionaria. Figlia del pittore Lorenzo Gigli, che durante il fascismo lasciò l’Italia per Buenos Aires con tutta la famiglia. La storia di Adelaida bambina comincia in qualche modo per le strade della capitale argentina e da lì, da quei quartieri inizia a raccontarla Adrián N. Bravi in Adelaida (Nutrimenti, 2024). Si tratta di un libro meraviglioso, diciamolo subito. Bravi ha scritto un romanzo, un saggio sulla storia della dittatura argentina, un altro sulla letteratura argentina, un libro che è anche intervista e memoir. Soprattutto Bravi ha scritto una storia che offre gli strumenti per fuggire dai tiranni e dal dolore e su come nasce, si costruisce e resiste un’amicizia.
Molti degli amici di Adelaida, ancora prima del colpo di stato, avevano deciso di intraprendere la via dell’esilio e di non tornare più. Ed è per questo che non possiamo circoscrivere la dittatura a un arco temporale di otto anni, perché il terrore, l’abbandono, la scomparsa dei cari trascendono quella manciata d’anni, cambiando per sempre la vita delle persone, anche di coloro che non ebbero mai a che fare con il regime.
Bravi da bambino visse per qualche anno in un sobborgo di Buenos Aires, San Fernando, e molto tempo dopo a Recanati, nel 1988, avrebbe conosciuto una donna che abitava nello stesso quartiere, Adelaida Gigli, con cui da quei giorni di fine anni Ottanta avrebbe condiviso una grande amicizia, costruita di parola in parola, di oggetto in oggetto, di taccuino in taccuino, di bicchiere in bicchiere, di memoria in memoria. Bravi è uno scrittore argentino ed è uno scrittore italiano, vive in Italia da molti anni e in italiano scrive i suoi libri. Bravi non dimentica la storia dell’Argentina, delle difficoltà sociali, della dittatura, non la può dimenticare, come non può farlo nessun argentino, non importa se sfuggito alle torture oppure no, se scampato a quegli anni oppure no. La strada per Bravi per riportarci a quelle storie, e non solo a quelle, è proprio l’incontro con Adelaida.
In quell’anno abitavo a circa dieci isolati da lì e spesso ci passavo davanti quando andavo a prendere il treno. Non potevo allora immaginare che in quella casa, in via Conesa, una casa semplice con un giardino davanti, si nascondesse un centro di tortura. Era un quartiere tranquillo, con i marciapiedi larghi, pieni di alberi e di aiuole. E quando oggi mi rivedo in quelle strade, con la spensieratezza del ragazzino che ero in quel periodo, mi rendo conto di essere stato in una specie di Waterloo sotterranea che stava risucchiando un’intera generazione.
C’è una ragazza in fuga con una bambina piccola in braccio e Mini si chiama la ragazza e Ines si chiama la bambina. La ragazza scappa in uno zoo, affida la piccola a due ignari passanti, ma verrà comunque catturata dagli uomini di Videla. Stessa sorte capiterà ai suoi amici e a suo fratello Lorenzo Ismael. Sono entrambi figli di Adelaida Gigli e dello scrittore David Vinas, nessuno dei due farà più ritorno, di nessuno dei due si avrà più notizia.
Adelaida che ha sempre fatto politica attiva ha accolto in casa dissidenti e rivoluzionari, ha nascosto loro e le loro armi, non può più restare in Argentina senza figli, senza nessuna speranza. Scappa attraverso la frontiera con il Brasile e poi su una nave per Genova, ma questo è solo un pezzo della sua storia. Adelaida è stata scrittrice di racconti, di poesie, soprattutto fondatrice (e unica donna in redazione) della rivista Contorno che si contrapponeva a quella considerata più elitaria, la Sur di Victoria Ocampo.
Proprio su Ocampo, Adelaida scrisse uno dei suoi testi più noti. Il grosso della sua scrittura è celato, nascosto, svelato ora a chi non la conosce dal testo di Bravi. Adelaida Gigli, soprattutto fino a quasi gli ultimi anni di vita, è stata una ceramista. È stata una donna capace di sfidare chiunque, di non sottostare alle regole, di organizzare feste che si trasformavano in performance, di essere lei stessa un’opera visiva, un talento multiforme prestato alla vita. A Recanati le è stato intitolato un giardino e poi un altro, era una donna dall’ampio respiro, da aria aperta, dalla mente luminosa.
Non aveva mai avuto una pietra dove piangere i suoi morti e ora temeva che potessero scomparire anche dalla sua testa, ed è per questo, suppongo, che aveva il bisogno imperante di lasciare per iscritto, di proprio pugno, certe cose.