Incontro gruppo di lettura – 6 dicembre 2023
“Ogni mattina a Jenin” fa parte di quella “letteratura della Resistenza” che dopo il giugno del 1967, anno della Naksa (ricaduta) quando Israele occupa Cisgiordania, Gerusalemme est, Gaza (e il Golan siriano), infliggendo al popolo palestinese una nuova cacciata, dopo la prima del ’48. È quella letteratura che si unisce all’impegno politico per denunciare i crimini di Israele e per contrastare l’occupazione e l’imperialismo non solo in Palestina.
Abulhawa racconta il dolore delle madri che dovranno crescere i propri figli in esilio e dei padri che non potranno più tornare nei campi dei loro avi. Dolore contenuto nella domanda che il più giovane dei profughi nel campo di Jenin rivolge al più anziano, Yahya, in fuga dal villaggio di ‘Ain Hod : “Nonno possiamo andare a casa ora?” Alla quale nella Jenin del ’48 era impossibile rispondere ma che non lo sarà mai più. È un racconto che mostra al pubblico occidentale quel dramma reso ancor più duro dell’esproprio dalla propria terra, che il popolo palestinese non smetterà mai di cercare e di riavere.
Secondo la scrittrice ogni scrittore palestinese quando scrive, a prescindere da ciò che scrive, fa un atto di resistenza perché fa parte di un popolo a cui hanno cancellato il proprio posto sulle mappe; così qualsiasi espressione artistica diventa atto politico. “Ogni mattina a Jenin” vuole essere anche un atto di denuncia verso la leadership palestinese che non ha saputo stringere il suo popolo attorno al proprio destino, senza ascoltarlo, lo ha lasciato in balia dei conflitti interni tra le fazioni. Leadership spesso intenta a definire e ridefinire limiti, confini di uno Stato inesistente per compiacere le richieste dell’Altro, inseguendo una pace senza giustizia.
Così non ha saputo vedere la vita reale delle strade, delle carceri, insomma la vita di tutti i giorni sotto occupazione. Con questo libro Susan Abulhawa, palestinese che vive negli Stati Uniti, ci trasmette un grande valore che appartiene al popolo palestinese: il senso d’identità. Non è la creazione di una struttura politica a definire l’identità, non è la nazionalità che fa si che si diventi palestinesi ma l’appartenenza a quella terra significa possedere certe tradizioni, cibi, costumi, musica e soprattutto ricordi.
Susan Abulhawa è nata da una famiglia palestinese in fuga dopo “La guerra dei Sei Giorni” e ha vissuto i suoi primi anni in un orfanotrofio a Gerusalemme. Adolescente, si è trasferita negli Stati Uniti dove si è laureata in Scienze Biomediche e ha avuto una brillante carriera. Vive in Pennsylvania. Autrice di numerosi saggi sulla Palestina, ha fondato l’associazione Playgrounds for Palestine che si occupa dei bambini dei territori occupati.
“Ogni mattina a Jenin” è il suo primo romanzo. Bestseller internazionale è stato pubblicato in ventidue paesi.