Incontro del gruppo di lettura presso la Biblioteca Comunale ore 21.00, P.zza Garibaldi 3, primo piano.
Il peso specifico dell'amore di Gianluca Antoni
"Il peso specifico dell'amore", neanche a scriverlo, è un romanzo d'amore. Amore a 360 gradi. Peter, alla soglia dei quarant'anni, è un potenziale suicida, se non fosse per la commessa di una valigeria, Denise, pazzoide e geniale, che lo costringe ad accompagnarla sul dirupo dal quale lui stava per gettarsi. Il romanzo entra a spirale nella vita di Peter: un matrimonio fallito, un lavoro fisso detestato, un grande amore rincorso, un talento sprecato e un lutto ancora cocente, quello del padre. Denise d'altro canto nasconde un dolore profondo che la spinge a voler "salvare" Peter con modalità tutt'altro che ortodosse. Intorno a loro orbitano numerosi personaggi, ognuno con una storia e i propri conflitti. E un cane, Paco, sempre in riserva sparata. Il romanzo sviscera le profonde contraddizioni dell'anima tra slanci iperbolici e cadute vertiginose, tra sogni e bisogni, tra ideale e reale. E un diario del passaggio all'età adulta, con l'accettazione dei propri limiti e la meraviglia di scoprirsi uomini imperfetti. Diverte, commuove, invita a riflettere ed è un'introspezione senza censure della psicologia umana, accresciuta e arricchita dell'esperienza dell'autore come psicoterapeuta.
RECENSIONE (http://www.diariodipensieripersi.com)
Questo romanzo comincia “dalla fine”, come certi film: il protagonista è intenzionato a suicidarsi, ma prima vuole comprare una borsa da computer per accertarsi che il romanzo della sua vita sopravviva all’incidente. Ma il destino si frappone tra Peter e il suo proposito : ed ecco che una scoppiettante fanciulla, Denise, decide di salvarlo in tutti i modi, con metodi tutt’altro che consueti. Comincia così il viaggio a ritroso di Peter, che gli permetterà di ripercorrere gli ultimi mesi trascorsi.
Un periodo caratterizzato da eventi imprevedibili e decisioni dolorose che l’hanno lasciato dolorante e insicuro: il suo matrimonio fallito con Valentina (la sua fidanzata storica, che compariva già in Cassonetti), la sua problematica relazione con l’amante Vittoria (un legame nato sotto una bruttissima stella ed esploso in passione), i non-detti che getteranno nuova luce sul rapporto con suo padre (morto recentemente con molti segreti nel cuore), un sogno inseguito senza successo (quello della scrittura: i romanzi scritti da Peter hanno gli stessi titoli dei romanzi di Gianluca, per cui il racconto si fa, in questi casi, metaletterario) e il suo cane Paco, il cui amore verso il padrone è assoluto.
Un romanzo che racconta la crisi di una vita e pone l’accento su momenti specifici, su dettagli luminosi che ne mostrano la comica tragicità: sì, perché il marchio di fabbrica di Gianluca Antoni è proprio l’ironia scanzonata che pervade ogni singola pagina, ogni episodio anche i più drammatici (come ad esempio gli ultimi istanti passati in ospedale al capezzale del padre morente). Una storia di tanti misteri, con qualche piccola e interessante sottotrama gialla (faccio riferimento al passato del padre di Peter, che nasconde la fuga da una persecuzione e un amore sepolto, ma mai dimenticato) e con la vita vera che si intreccia alla storia autobiografica delle sfighe editoriali del protagonista (che poi sono quelle dell’autore) in un gioco di specchi metanarrativo (ma sempre comprensibile) in cui si intrecciano Gianluca che scrive di Peter scrittore e Peter scrittore che scrive di Peter personaggio.
In definitiva si tratta di un romanzo ricco, leggibile a tanti livelli, una storia di tanti amori diversi (tutti quelli che posso legare una persona alla sua vita e ai suoi affetti) raccontata con il lessico della crisi che incontra il registro dell’ironia e che, pur nella sua serietà, ha tutta l’umiltà e la leggerezza di non prendersi mai troppo sul serio. Una sola domanda resta insoluta, alla fine del libro: quanto di quanto Gianluca c’è veramente in Peter?
Lo scopriremo il 16 aprile alle ore 21.00 Sala Consilare del Comune di Monte Porzio, Viale Cante 10. La serata è organzzata del gruppo di lettura.
Gianluca Antoni: “Il peso specifico dell’amore”
Si leggono in tre giorni questi “appunti di vita” di Gianluca Antoni, ponendosi immediatamente all’attenzione grazie al titolo furbetto ed intrigante che promette importanti rivelazioni sull’argomento. Lo stile, giovane e colloquiale, condito di colpi di scena e momenti d’ilarità, lo rendono piacevole alla lettura ed adatto ad un pubblico vasto sia anagraficamente che per la qualità del gusto letterario, visto che ciò di cui si parla è materia comune nella vita di ognuno.
Chi infatti non si è mai misurato con l’amore nelle sue varie e mutevoli forme, chi non ha mai sofferto del dolore di una perdita, chi non si è mai sentito almeno una volta così disperato da voler farla finita?
La storia o le storie narrate da Gianluca, che siano vere totalmente o solo in parte, pur con tocco leggero, entrano in risonanza con la parte più profonda del nostro essere, quella più vera e primordiale, quella delle emozioni, delle reazioni incontrollabili: il misterioso regno del “sentire” in cui si formano le innumerevoli gioie e sofferenze della nostra esistenza, che tentiamo di offuscare o addomesticare con razionalismi o censure.
Immersi nelle relazioni con i nostri simili, siano esse di lavoro, di necessità sociale o d’intima affettuosità facciamo i conti ogni giorno con desideri e pulsioni che non sono liberi di esplodere con l’intensità che gli è propria; la legge della convivenza, dall’alba del mondo ad oggi ed attraverso un lungo apprendistato che va dalla culla alla bara, ci insegna a modulare, soffocare ed esprimere le reazioni istintive in forme socialmente accettabili.
Frustrazione, dolore, insoddisfazione, infelicità…sono componenti imprescindibili dalla vita, così come i loro opposti: realizzazione, benessere, gioia, felicità….Esse sono modalità reattive proprie del genere umano ed identiche in ogni ambito antropologico, ma ogni gruppo ne elabora cause ed intensità differenti a seconda della latitudine, assieme ad altrettanto diverse strategie di difesa.
E’ la cultura di appartenenza a determinare come manifestare ed esprimere un determinato sentimento, ma sancisce anche le situazioni e gli avvenimenti che richiedono di trovare una rappresentazione del sentire. Vi sono luoghi al mondo in cui colui che sente avvicinarsi la morte si isola dal gruppo ponendosi in attesa dell’evento in una zona sacra, deputata allo scopo…, altri in cui chi resta urla e si dispera stracciandosi le vesti; nelle società matriarcali “comandano ” le donne; là dove si pratica la poligamia ciò che per noi è infedeltà diventa la norma…
Ecco dunque che quelle modalità reattive che ci sembrano normali all’interno della nostra cultura, se colte in una prospettiva più ampia, perdono di vigore e diventano meno assolute. Non è cosa facile, ma se facciamo lo sforzo intellettuale di comprendere questa semplice verità potremo imparare a soffrire un pò meno anche osservando le altre culture. Sapere che gelosia o paura della morte sono in buona parte anche modalità del sentire apprese e non solo innate ci permette di riflettere sugli schemi mentali con cui cui rappresentiamo le cose della vita e tentare di modificarne la carica distruttiva.
Se il corpo, con i suoi umori, i suoi ormoni, la sua chimica cerebrale è in grado d’influire sul nostro pensiero allora è vero anche il contrario: anche la mente, che notoriamente “mente”, può diventare un mezzo per addolcire le pillole amare della vita.
Non si beve in fondo per dimenticare? Non si cerca forse, attraverso psicofarmaci o droghe più o meno legali, quell’ottundimento che ci permette di guardare con maggiore indulgenza al disfacimento delle nostre certezze?
Così fa il padre di Peter che annega nell’alcol la depressione del post-pensionamento, così fa Peter quando il padre muore o quando soffre per l’abbandono delle sue donne, cercando sollievo nelle lucide nebbie di qualche droga o superalcolico. Ma così si cura l’effetto, non la causa, la quale è sempre molto lontana nel tempo e profonda, come la rabbia ed il rimpianto per Katiuscia, ad esempio.
Katiuscia era l’amore perfetto, forse mitizzato perchè incompiuto; la vita coniugale invece e probabilmente un surrogato dell’amore, tinto di banalità e quotidianità, offuscato dal peso di quella rinuncia, dal ricordo di un ideale divenuto fantasma. Chissà invece cosa sarebbe stato di quell’uomo se i pezzi del puzzle fossero andati o tornati tutti al loro posto…, se la madre di Peter non avesse nascosto al marito la lettera di quel primo amore, esercitando quel genere di egoistica sopraffazione tipica di un amore che si arroga il diritto di possedere l’altro… Cosa ha a che fare l’amore con l’ingerenza? Non è forse malato un sentimento governato dalla paura di perdere colui o colei su cui riversiamo immani aspettative di felicità? Non è questo anche lo stesso comportamento di Peter divorato dalla gelosia nei confronti di Vichy ma assai tollerante verso se stesso quando si concede la scappatella con la collega?
Dura a morire la vecchia doppia morale!
Ah…potesse ridursi ad una formula matematica, l’amore! Ed invece niente è più lontano dalla scienza e dalla logica di quanto lo sia il sentimento amoroso, così pieno di toni, sfumature, contraddizioni, soggettività…E’ già un passo avanti saper riconoscere che l’innamoramento non ha nulla a che vedere con l’amore, che la capacità di voler bene non ha nulla di magico o alchemico e che neppure il sacrificio di sè è un atto d’amore totalmente puro.
Valentina che rinuncia a se stessa ed alla propria realizzazione professionale per amore di Peter costruisce infatti un’ unione basata sulla dipendenza, che avrà come esito il risentimento. L’oggetto dell’amore non può essere una stampella della propria insufficienza, che si abbandona non appena si diventa in grado di camminare con le proprie gambe…Nelle relazioni i rapporti di forza cambiano con il tempo.Per quanto insieme, ognuno cresce anche indipendentemente dall’altro ed alla fine è solo e soprattutto con se stesso che deve fare i conti. Se non c’è reciproca flessibilità davanti ai rispettivi cambiamenti l’unione è destinata ad esaurirsi.
Mutano i corpi, le menti, i pensieri ed anche i motivi che erano alla base dell’attrazione sembrano dissolversi. Spesso resta solo affetto ed amicizia, quando va bene. La complicità sfuma. Se non si è in grado di capire i mutamenti personali e di chiarirli con l’altro nasce ostilità e rottura. L’equilibrio si mantiene con il movimento, non con la fissità.
Ogni coppia affronta tali passaggi in modo più o meno cruento. A volte sono i figli , le convenienze, la paura della solitudine e la sensazione di non essere in grado di costruire nient’altro a tenere insieme la coppia, la quale scivola poco a poco in una profonda tristezza, fatta di routine e silenzi, a cui si alternano scoppi d’ira e reciproche accuse. A meno che i singoli componenti non riescano a ricostruire, ognuno per proprio conto, un proprio senso dell’esistere.
Forse è questa la fase in cui può iniziare l’amore vero, fatto di pazienza, reciproci aggiustamenti, ascolto , comprensione e pieno riconoscimento dell’altro come individuo da cui non si pretende niente di più di ciò che onestamente può darci o che è disposto a dare, il che significa accoglierlo per ciò che è.
Un amore che tende a plagiare l’altro per trasformarlo in qualcosa che non è solo per adattarlo alle nostre esigenze è sempre motivo di sofferenza, sia per noi che esercitiamo questa più o meno consapevole manipolazione, sia per lui che ne è la vittima.
Il giovane suicida refrattario alle pretese di quel padre insodisfatto, non più in grado di stare al passo con i tempi e che cerca di realizzare i suoi sogni attraverso la giovinezza del figlio, usa il giovane caricandolo di una responsabilità che la sua anima non può reggere.
Per assurdo, solo togliendosi la vita il ragazzo riesce a liberarsi di quel fardello rimandandolo al mittente con gli interessi. A volte si soffre troppo per preoccuparsi di chi dice di amarci. Per salvarci dal male dobbiamo fare del male. Il suicida non vede altra via che quella di non esserci più, anzi, il suo gesto assurge ad atto di accusa nei confronti di chi non lo capisce, testimonia un dissenso che non può essere espresso se non privando l’altro della materia prima su cui esercitare un amore malsano e lo fa in modo definitivo.
Se in nome dell’amore si costruisce la vita attraverso la forza dell’attrazione tanto nel mondo animale quanto in quello umano, come ci fa riflettere Eleonora, è a causa della sua degenerazione che quella vita la si distrugge sia fisicamente che psicologicamente. Basti pensare al femminicidio o alla pedofilia…Ma oggi l’uomo e la donna sono sufficientemente acculturati da comprendere assai più che un tempo quanto possa essere distruttiva l’altra faccia dell’amore.
Se prima il prete a cui la donna confessava il proprio disagio nella coppia invitava alla rassegnazione ed al sacrificio di sè, oggi la psicoterapia e la separazione legale distribuiscono più equamente tra uomo e donna il peso e la responsabilità della deviazione affettiva e delle sue soluzioni.
Lo stesso vale per tutte quelle forme di sofferenza psichica legate alla relazione, come quella tra genitori e figli, sofferenza che una volta si subiva passivamente attendendo che il tempo sanasse le ferite o le preghiere sortissere effetti miracolistici.
Oggi meno che mai si accetta l’idea di dover soffrire, nè fisicamente nè psicologicamente. I progressi scientifici e tecnologici ci hanno abituato all’idea che c’è un rimedio per tutto, forse anche alla morte, che appare sempre più lontana nel tempo, anche se la prosecuzione dell’esistenza diventa a sua volta motivo di ulteriori sofferenze. Altro che accettazione del distacco…!
L’uomo contemporaneo, così come non riesce a sopportare la noia, per cui è sempre alla ricerca di qualche diversivo, non riesce più neppure a tollerare la convivenza con il dolore e l’imperfezione, i quali un tempo sono diventati spesso fonte d’ispirazione religiosa e filosofica, ricerca di senso o motivo di espressione artistica o letteraria.
Penso a Leopardi, Van Gogh, Alda Merini…, nonchè alla nostra conterranea Nori de Nobili (Ripe), la quale, finita in manicomio e qui rimasta per 33 anni, fino alla morte, fu capace di resistere attraverso la pittura e la poesia al suo totale disfacimento mentale, nei tempi in cui ancora la psicorapia era ai suoi esordi.
Fermo restando che la scoperta della psiche e delle terapie ad essa connesse, siano esse farmacologiche o analitiche, sono conquiste beneamate del secolo appena concluso, non posso non sottolineare il fatto che il ricorso ad esse, ed in particolare alla terapia psicoanalitica, è ancora oggi appannaggio di quei pochi che possono permetterselo (…e chissà, forse la mia stessa vita avrebbe potuto prendere una piega diversa e meno tormentata se mi fosse stato concesso dalle circostanze di poterne apprezzare i benefici…).
Ulteriori ragguagli potrà fornirceli lo stesso autore doppiamente coinvolto in tale pratica, in qualità di utente nella finzione letteraria e di professionista esperto nella realtà.
Conosco persone che, a seguito di opportune psicoterapie, hanno sciolto nodi e risolto blocchi, affrontato disturbi psicosomatici e manie suicide…, ma ne conosco anche altre che hanno trovato la propria strada solo aspettando pazientemente e stringendo i denti. Non solo: sono stati anche capaci di trasformare quella stessa sofferenza in un mezzo di liberazione interiore da ogni forma di dipendenza e in una coraggiosa ricerca di nuovi significati per la propria esistenza.
Oggi tutti o quasi comprendono, anche se spesso in modo approssimativo, termini mutuati dal linguaggio psicoanalitico e possono usufruire di un’enorme quantità di pratiche fisiche e meditative, rimedi olistici o energizzanti…e chi più ne ha più ne metta…Queste nuove tendenze, oltre che creare nuove forme d’economia legate al benessere, hanno contribuito a decostruire le mitiche ed un pò deludenti certezze del materialismo scientifico per restituire dignità all’insondabile, quell’insondabile che un tempo era esclusivo appannaggio della religione e dei suoi dogmi.
Quando la ricerca della verità è autentica e non degenera in mode o nuove forme di consumismo può innescare processi di autoguarigione che, passando attraverso la spiritualità, restituiscono alla sofferenza la dignità di via verso la consapevolezza, la stessa che Vichy cerca nell’Asrham in India, o Valentina nel progetto del centro-benessere, o Peter sulle vette del Monte Catria.
Sono, queste, tappe di un percorso iniziatico che conduce dalla confusa spensieratezza della gioventù alla pregnante ponderazione dell’età adulta, fino a farci comprendere che, in fondo, l’amore più grande è quello che dovremmo tributare a noi stessi e senza il quale non possiamo amare nessuno.
Molte relazioni complicate o conflittuali poggiano infatti sulla insicurezza personale di uno dei due agenti, che rende vittime del carnefice di turno, scambiato per un dio. Anzi l’uno attira l’altro.
Finchè l’amore è dipendenza ci sarà sempre sofferenza. Infatti, pur di non restare soli, cosa questa assai deplorevole fino a un paio di decenni fa, si accettano anche le cose più sgradevoli, si finge, si elaborano strategie di conquista o di eliminazione di avversari, ci s’illude crogiolandosi in aspettative vane che prima o poi andranno deluse e scambiate per tradimenti.
Probabilmente solo dopo aver molto sofferto s’impara ad amare correttamente, coltivando l’onestà con se stessi e con gli altri, comunicando apertamente le proprie difficoltà, ma senza quelle asperità e quelle reciproche inutili recriminazioni a cui si perviene quando non si vuole vedere la realtà.
L’amore maturo è una vera conquista. Occorre essere vigili ed attenti ai segnali della crisi e chiarire dubbi ed incertezze tempestivamente, prima che i muri diventino insormontabili. Il “non detto”va affrontato energicamente, prima che angosce e risentimenti blocchino quella spontaneità che è propria dell’attrazione e che fa dell’amore una “cosa meravigliosa”.
A volte occorre rinegoziare i termini dell’accordo adattandoli ai cambiamenti che il tempo ed altri soggetti interagenti con la coppia apportano in quel piccolo mondo, destabilizzandolo e sottoponendolo a scossoni più o meno violenti, nei confronti dei quali ognuno reagirà in modo diverso.
Per funzionare la relazione dev’essere dinamica. Questo è il segno della sua vitalità e della volontà dei suoi componenti di farla durare nel tempo, mantenendo passione ed interesse l’uno per l’altro.
Le crisi servono a riportare l’equilibrio. E’ quando tutto rimane fermo ed immutabile che c’è da preoccuparsi! Una coppia che diventa prigioniera di se stessa, che evita scontri interni ed incontri con il mondo esterno e vive nella paura del cambiamento ha chiuso la propria capacità di amare in una teca di vetro, sempre a rischio di andare in frantumi.
Il sentimento perde di energia ed intensità proprio perchè, per proteggerlo, lo si congela. L’amore, quando diventa così esclusivo e statico, fa volare solo in apparenza. In realtà spegne anche l’ultimo guizzo di libertà personale e di fiducia nell’esistenza, consumato com’è dalla paura.
Ciò di cui occorre rendersi conto è che niente è per sempre e che qualsiasi relazione affettiva non solo può trasformarsi ma anche morire definitivamente.
Quando questo accade ci si sente tanto più feriti quanto più forte o morboso è stato il legame.
Anche se l’intimità dell’unione le conferisce profondità ed intensità dobbiamo imparare a guardarla fin da subito con disincanto, permettendo alla nostra capacità di amare di trascendere i confini della coppia.
Se impariamo ad amare con una punta di lontananza e di distacco l’oggetto del nostro interesse e strumento del nostro piacere, se acquistiamo la capacità di sublimare i nostri potenti istinti e le nostre passioni, non solo la sofferenza per il distacco o la perdita sarà minore, ma la nostra stessa capacità d’amare risulterà amplificata.
Ci accorgeremo di amare non solo il partner che abbiamo scelto, ma anche altre persone. Esse diventeranno oggetto della nostra benevolenza, in un crescendo di gratuità e di equanimità che ci deriva proprio dal fatto di scoprire ogni giorno che la vita ci offre infinite occasioni di generosità e di tenerezza. E chi riceve amore può darne a sua volta.
Potremmo stupire e meravigliarci come bambini che, pur totalmente immersi nel gioco che più gli piace, conservano la curiosità di impararne altri e, pur sapendo che ogni gioco è destinato a finire, lo vivono con serietà ed impegno, come se fosse eterno.
Riuscire a guardarsi ogni tanto dal di fuori, come se si fosse sulla cima di una montagna, ci consente di comprendere come la vita in fondo non sia altro che la rappresentazione di un gioco fatto da bambini che, a forza di fare errori, imparano sempre meglio a giocare. La lontananza della prospettiva ci mostra la realtà così com’è e ci induce a prenderci un pò meno sul serio alleggerendo la “drammaticita” delle nostre interpretazioni.
Saremo costretti a ricordarci che tutto passa, che gli interpreti prima o poi usciranno di scena ed altri subentreranno a tenere viva la rappresentazione, compresa quella dell’amore. Ci capiterà di sorridere di noi stessi e dell’assurdità di dire a qualcuno “tu sei mio”. Capiremo che nessun essere umano può possederne un altro e che l’amore vero lascia liberi.
Possediamo forse il cielo, le nuvole, i boschi, i laghi, le montagne?
Eppure non possiamo non amarli nè riusciamo a farne a meno perchè sono la nostra vita: godiamo della loro bellezza, ci nutriamo dei loro frutti, ne temiamo la potenza distruttiva, siamo grati alla loro benevolenza. Gli stessi sentimenti che proviamo nei confronti delle persone che diciamo di amare.
Tutto ciò che esiste e con cui entriamo in relazione, compresi noi stessi, può essere buono o cattivo. Questa ambivalenza fa parte della vita. Anche coloro che amo, come le forze della natura, possono essere ora generose, ora distruttive ed anche le mie reazioni emotive saranno conformi a ciò che vedo e che non è altro che lo specchio di me stessa. Come non mi sorprendo dei temporali e non protesto contro il cielo che manda i suoi fulmini ma li accetto quali parte del “gioco”, anche se spero che torni presto il sereno, dovrei fare altrettanto quando mi trovo davanti al lato oscuro della persona che amo.
Eppure la cosa ci resta difficile.
Nei sentimenti pretendiamo che sia sempre bel tempo. Allora ci dedichiamo alla cura della persona che amiamo, la compiaciamo, l’aduliamo…Ancora una volta non l’accettiamo per quello che è ma facciamo di tutto perchè il suo lato oscuro non si manifesti, affinchè la bellezza e la perfezione della relazione non subiscano crepe. Amiamo per essere riamati, per non essere abbandonati, perchè tutto si cristallizzi in una forma tanto perfetta quanto innaturale.
Ma le tempeste purificano l’aria. Il mare si libera di tutti i rifiuti che gli gettiamo dentro, che nascondiamo sul suo fondale. Gli amori soffocanti abbisognano ogni tanto di un “bagno di sangue” perchè l’ordine naturale delle cose venga ristabilito, perchè l’amare non diventi un obbligo di riconoscenza, una coercizione a rendere all’altro ciò che l’altro si ostina a darci. Un altro aspetto questo dell’amore, che che fa del senso di colpa e del ricatto affettivo la leva di un potere odioso.
A mano a mano che vado procedendo in questa riflessione mi rendo conto che resta ben poco da salvare del concetto di amore così come è comunemente inteso.
Oggi più che mai mi pare che esso sia una parola senza senso o semplicemente un insondabile mistero. Credo solo di sapere che gli esseri umani non sono altro che elementi di un mondo naturale i quali mutano come ogni altra cosa viva. Ora rabbiosi ora pacificati, ora egoisti ora generosi, ora spontanei ed ora ipocriti nasciamo e moriamo ogni giorno. Ogni giorno feriamo e siamo feriti, accogliamo e siamo accolti.
Ogni giorno ci chiediamo chi siamo e, pur non trovando risposte, continuiamo più o meno disperatamente a chiedercelo, privi di ogni certezza ed ostinatamente decisi ad esercitare almeno la libertà di sbagliare.
Valeria Gramolini
Incontro GDL del 9-4-2013- "Il peso specifico dell'amore" di Gianluca Antoni. E' questo il libro che il gdl ha letto questo mese, e martedì sera alle 21 ci siamo visti per commentarlo. A tutti è sembrato un bel libro, una storia credibile e molto densa, con personaggi tutti con una storia importante alle spalle, e situazioni che ci hanno fatto discutere. Ognuno, volendo, poteva trovare un qualcosa di conosciuto o vissuto in proprio. Nel libro si riscontrano fatti descritti così bene che sembrano autobiografici, ma di questo ne parleremo la prossima volta, dopo l'incontro con l'autore che ci sarà martedì prossimo, 16 aprile alle ore 21, nella sala consiliare del comune. Per la lettura ad alta voce è stato scelto un racconto di Gianni Michele, uno scrittore di Fano, che ci ha fatto rivisitare luoghi di questa città a noi noti. Il brano "Le zucche di aulin" è una umoristica visione del mercato nel giorno di halloween, giorno di vendita delle zucche, che una intraprendente Menchina mette in bella vista nel suo banco al mercato. Da questo fatto partono una serie di avvenimenti spassosissimi che Gianni Michele ci descrive in modo veramente gustoso. Il racconto fa parte di un piccolo libro dove l'autore ha raccolto altre storie, ambientate a Fano (città in cui lui vive), sempre con personaggi molto caratteristici.