Incontro 26 gennaio 2016
Nelle mani sapienti di Paula Hawkins, il lettore viene travolto da una serie di bugie, verità, colpi di scena e ribaltamenti della trama che rendono questo romanzo un thriller da leggere compulsivamente, con un finale ineguagliabile.
Ore 8.04. Rachel sale sul treno che, tutte le mattine, viaggia dalla periferia al suo alienante posto di lavoro nel centro di Londra, per poi riportarla indietro la sera. Una routine che sembra essere, per lei, l'unico momento felice della giornata.
Senza amici o una vera e propria casa, con un serio problema di dipendenza dall'alcool, cerca di colmare il vuoto della sua esistenza nutrendosi degli attimi rubati di vita altrui, attraverso il finestrino di quel treno. Si immedesima talmente tanto con quello che vede da affezionarsi a una coppia che, quotidianamente, si trova a far colazione nella veranda di una graziosa villetta, inventando i loro nomi e la loro vita, immaginandola come quella che avrebbe voluto avere.
Ma durante uno dei suoi viaggi, mentre fantastica sulla giornata che avrebbero trascorso i suoi amati protagonisti, Rachel assiste a una scena che non avrebbe dovuto vedere e che spezza l'idillio creato nella sua testa.
Da quel momento in poi, la ragazza del treno si trova invischiata in una serie di avvenimenti repentini e del tutto inattesi, che sconvolgono la sua quotidianità in maniera definitiva e la portano a legarsi a quella coppia inesorabilmente.
Jess e Jason, così li ha chiamati Rachel, hanno veramente una vita perfetta? Che ruolo avrà la protagonista nelle loro vicende?
Scorrendo le pagine di questo thriller, considerato un vero e proprio caso editoriale, non ci si stupisce affatto del successo che ha ottenuto finora negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
L'autrice esordiente riesce, con uno stile di scrittura rapido e incalzante, a tenere i lettori con il fiato sospeso dall'inizio alla fine, cucendo la storia attorno a un tema che rende quasi impossibile non identificarsi nei protagonisti: quali oscuri segreti si celano dietro la perfetta armonia che ci piace immaginare regni nelle vite degli altri?
Alternando il punto di vista principale di Rachel con quello delle altre due donne protagoniste, Paula Hawkins tiene incollato alle pagine, fino all’ultima riga, il lettore, trascinandolo tra i meandri della mente dei personaggi del romanzo, tra passato e presente, sbagli e redenzioni, rimorsi e rimpianti. Impossibile non appassionarsi anche per i non amanti del genere.
La ragazza del treno
di Paula Hawkins
(un pensiero di Valeria Gramolini)
Non sono un’esperta di “gialli psicologici ” o di “noir”, perciò non sono in grado di valutare se “La ragazza del treno” sia o meno un’operazione riuscita, tuttavia, a giudicare dai milioni di copie già vendute tra America e Nord Europa, direi che il romanzo ha pienamente incontrato i gusti del pubblico che ama questo genere di narrativa.
Del resto non ne mancano gli elementi caratterizzanti: atmosfere cupe, periferie sordide, personaggi ambigui, alcol e sesso, contorcimenti mentali ed elucubrazioni ossessive, cattiverie a profusione e naturalmente un finale a sorpresa.
Il ritmo narrativo è così incalzante che obbliga il lettore a divorare con ingordigia le pagine una dopo l’altra, per scoprire però ogni volta che le nuove verità emerse sono illusorie, e che molte di quelle pagine sono di troppo non aggiungendo nulla alla sostanza del racconto. Infatti, più che di accadimenti nuovi, si tratta di interpretazioni ed ipotesi formulate dalla protagonista che, in quanto dedita all’alcol, è quasi sempre in uno stato confusionale e priva di memoria.
Non si può negare che l’autrice sappia descrivere con maestria i tormenti psicologici e le inquietudini dei personaggi, tuttavia a mio parere la cosa le prende un pò troppo la mano, finendo per “cincischiare” sempre attorno alle stesse faccende. Probilmente, essendo una giornalista, è avvezza alla cronaca e ai suoi macabri fatti quotidiani, che anch’essa distribuisce a profusione: la violenza che si mescola allo squallore, la menzogna che si aggiunge all’abbruttimento di sè, la paura che spinge a lasciarsi andare…E, anche qui, come spesso accade nella realtà, persone insospettabili si macchiano, nella sorpresa generale, di crimini orrendi.
Di fronte ai “fenomeni letterari” mi chiedo sempre quale sia il motivo di tanto successo, tanto più quando non lo capisco e non lo condivido. Fa presa sul pubblico più la campagna pubblicitaria della casa editrice o la materia della narrazione? Cosa di ciò che viene raccontato attira l’interesse del lettore? E, in questo specifico caso, è la matrice oscura del racconto a risvegliare quella stessa oscurità latente anche negli animi più candidi, per effetto del meccanismo dell’identificazione, oppure è la capacità fascinatoria della suspance e del mistero?
Perchè milioni di telespettatori se ne stanno inchiodati davanti alla TV a seguire gli sviluppi di indagini poliziesche, ricostruzioni teatrali e pareri di criminologhi relativi a omicidi irrisolti e altre simili amenità?
Perchè quelle trasmissioni suscitano tanta curiosità ed apprensione mentre gli stermini razziali ed i massacri di guerra passano ormai quasi inosservati sugli schermi, come se a questi ci si potesse fare l’abitudine mentre agli altri no?
Forse perchè questi ultimi ci paiono lontani dai nostri territori e quindi impossibili a realizzarsi (dopo i fatti di Parigi per la verità un pò meno…), mentre i primi li sentiamo così prossimi che potrebbero accadere anche tra i nostri vicini di casa, quando non addirittura nelle nostre stesse famiglie.
“Sembravano felici…, erano tranquilli, persone normali, come noi…No, non ci siamo accorti di niente…”
Quante volte i cronisti ci rimandano queste testimonianze di parenti o conoscenti! Ciò che attira dunque è l’inspiegabilità, la sorpresa, il fatto che avvenimenti del genere possono insinuarsi nelle nostre stesse vite e magari esserne noi stessi responsabili. Allora quella curiosità a volte morbosa nasce dal desiderio di imparare qualcosa di più sulla natura umana e su noi stessi, forse perchè a volte avvertiamo dentro di noi quella stessa malvagità che non osiamo esplorare, ma solo osservarla in chi l’ha vissuta fino in fondo fino a commettere qualcosa d’irreparabile.
Condotti dal giornalista di cronaca nera e dai suoi esperti in studio negli oscuri recessi della mente umana, scrutiamo il volto dell’assassino per leggerne i segni della cattiveria, quindi, amareggiati dai disastri che anche l’essere più comune può mettere in atto, ci confrontiamo con amici e vicini di casa per trovare una spiegazione plausibile all’eterno problema del male.
Quali sono le molle che rendono possibile azioni così malvagie e sovente anche gratuite?
Un raptus di follia, la gelosia, l’avidità, la fame d’amore e quindi la sua mancanza, il desiderio di potere, il sospetto, la paura dell’abbandono e della solitudine, l’insicurezza, l’incapacità di accettare la realtà così com’è. Si tratta sempre di relazioni umane distorte, malate , ingovernabili.
Chi mette in atto la violenza e chi la subisce fanno entrambi parte di un insieme inscindibile. Vittime e carnefici si scelgono e si corrispondono. Spesso sono persone che fanno sempre gli stessi errori dai quali non imparano mai nulla e che cercano compensazioni alla propria incapacità di instaurare relazioni affettive equilibrate nel piacere effimero dell’alcol, della droga o di altre più o meno legittime consolazioni.
Così fa la protagonista della nostra storia e le figure di contorno: maschi che non amano veramente e che cercano distrazioni extra-coniugali quando le mogli ingrassano o abbruttiscono, uomini che mentono e diventano violenti o torturano psicologicamente le loro compagne fino a lasciarle distruggere dall’alcol; e donne che non sanno vivere da sole, che si appoggiano ai compagni delegando totalmente ad essi il compito di renderle felici secondo il clichè classico della famiglia perfetta, la quale, a quanto pare, esiste solo nei sogni e nelle fantasie.
Ma si tratta di sogni così potenti che, per inseguirne la realizzazione, le nostre due protagoniste non esitano a buttar via se stesse e la propria dignità, a lottare come iene o a lasciarsi sopraffare da pensieri torbidi e malvagi. Tutto questo per scoprire alla fine che l’uomo tanto desiderato e conteso è un bugiardo e un assassino.
Al punto estremo della disillusione la rivalità scompare e subentra la complicità nella vendetta. Le due donne solidarizzano e si difendono diventando a loro volta assassine che si coprono a vicenda.
Neppure i buoni, l’amica che ospita la protagonista a casa sua e lo psicoterapeuta, sono del tutto esenti da lati oscuri. La prima segue il proprio ragazzo come un cagnolino non appena lui fa un fischio ed il secondo si lascia sedurre dalla irresistibile Megan. C’è in tutti un aspetto di ombrosa debolezza, e solo chi ne è consapevole riesce ad uscirne.
Non può uscirne Rachel finchè cerca sostegno nell’alcol, nè Megan che si rifugia nel sesso, ma entrambe, quando con diverse motivazioni si rivolgono allo psicologo e nel clima caldo ed accogliente del suo studio si raccontano fino a incontrare nuovamente gli eventi traumatici che sono all’origine della propria “perversione” e del proprio “accecamento”, ritrovano finalmente anche la propria forza, la propria dignità vilipesa e reagiscono prendendo in mano la propria vita con volontà e coraggio.
Rachel deciderà di non bere più e di farsi aiutare dagli “alcolisti anonimi” e Megan di raccontare tutta la verità su di sè al marito, costi quello che costi. Compito però che non riuscirà a portare a termine perchè uno dei suoi tanti “errori” non esiterà a sopprimerla.
Il campionario della difficile e travagliata vita del genere feminile è al completo e, se questo libro un merito ce l’ha, è quello di portare alla ribalta la mai risolta questione della violenza sulle donne.
Vista in questi termini tutta la narrazione assume un sapore divulgativo e pedagogico, non so se consapevole o meno, ma credo che sia rivolta soprattutto alle donne, alle quali offre un invito, un’esortazione, anzi, più di una.
1. Non fidatevi dei vostri sentimenti, essi possono essere ciechi o creare realtà apparenti, soprattutto quando si imbocca la via della dipendenza dall’alcol
2. Non fate dell’illusione, perchè vi piace sognare, la vostra pietra d’angolo. Ponete fiducia solo in voi stesse e nella forza del vostro pensiero lucido ed intelligente, non annebbiato da fumi di alcun tipo.
3. Non lasciatevi andare al potere distruttivo di sospetti e gelosie, fantasie malsane, ossessioni, rivalità e cattiverie tra “sorelle”, compreso il “furto di mariti”
4. Andate a fondo dei vostri turbamenti e delle vostre angosce, non le reprimete, non le nascondete dietro false sicurezze quali l’aspetto esteriore e la seduzione.
5. Soprattutto vogliatevi bene e abbiate rispetto per voi stesse
Forse il vero “mantra” del libro è proprio questo: imparare a volersi bene e a non far dipendere la propria felicità dagli altri.
Se lo scopo dell’autrice era questo, spingerci a riflettere sui meccanismi autolesionisti della mente, direi che c’è riuscita. Certo la cronaca non è avara di esempi e forse la storia in questione s’ ispira a fatti realmente accaduti.
Il finale positivo, anche con il suo esito drammatico, indica che c’è sempre una via d’uscita, un modo per riscattarsi e ricominciare. Essa passa attraverso la consapevolezza e la conoscenza di se stesse, per raggiungere le quali non sempre possiamo farcela da sole. A volte occorre affidarsi a qualcuno, un professionista della mente che ci aiuti nel viaggio verso la nostra libertà interiore. E’ questa l’unica provvisoria dipendenza che siamo autorizzate a concederci, l’unico rischio che possiamo correre.
Se mai qualcuno dovesse leggere queste mie righe mi permetto di suggerire al riguardo un paio di autori interessanti, uno dei quali letto di recente. Si tratta di un uomo, Stefano Dionisi, attore di cinema, e del suo “La barca dei folli”. E’ un testo autobiografico, emblematico del calvario psichiatrico ai nostri giorni ed assai illuminante circa il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per malati di mente, che sovente qui giungono a causa delle innumerevoli dipendenze di cui si rendono vittime.
Altra autrice d’indiscutibile importanza sia perchè donna sia perchè ospite di ospedali psichiatrici, quando ancora esistevano, è Alda Merini ed il suo Diario, che propongo all’Associazione di acquistare. Appena qualche giorno fa ho avuto modo di sentirne un brano letto dalle guide del Museo Nori de’ Nobili di Ripe, in occasione di un “gemellaggio” tra questo Museo, dedicato alla suddetta pittrice manicomializzata tra gli anni trenta e sessanta, ed il museo di Milano dedicato alla nota poetessa.
Si tratta di una realtà del nostro territorio che ci riguarda da vicino in quanto donne, un luogo dove artiste di qualsiasi provenienza e campo di espressione possono esternare, attraverso la creatività, gioie o tormenti dell’animo, giacchè l’arte, come ormai si sa, può contribuire a prevenire il disagio psichico, oltre che essere un’ottima terapia, senza nulla togliere naturalmente ai professionisti delle cure mentali.