Archive for the ‘Incontro con l’autore’ Category

9 settembre incontro con l’autore

Un dialogo tra due bambini da sopra a sotto il mare: Leonardo in una nave da crociera e Akanke dal fondo del Mediterraneo.

Questo lo scenario in cui si svolge la storia raccontata da Mauro Riccioni, nel suo primo romanzo da oggi disponibile online e nelle principali librerie delle Marche: "Lettera di una bambina in fondo al mare".

Akanke è un’africana: ha conosciuto la miseria, sopportato lo sfruttamento, sfidato il deserto e affrontato la traversata del Mare Nostrum a bordo di una carretta del mare. Lì ha trovato la morte.

Narra questa storia a Leonardo, giovane occidentale in vacanza, per spingerlo a pensare e, magari, a raccontare al mondo una silenziosa tragedia che ogni giorno si ripete a poche miglia marittime dalla nostra quotidianità.

E Leonardo saprà rispondere ad Akanke.

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Mauro Riccioni è un avvocato, appassionato di politica e archeologia, amante della lettura e della scrittura, cultore della bellezza e nemico delle ingiustizie.

Nelle Marche, dove vive e lavora, ha ricoperto cariche politiche di vertice e amministrato diversi enti locali. Tra questi il Comune di Gagliole, dove ha rinunciato all’indennità di Sindaco devolvendola ai servizi sociali del piccolo Comune, in un’esperienza di cui si è parlato molto che ha raccontato nel libro Il Sindaco Gratis (Dissensi, 2016).

"Lettera di una bambina in fondo al mare" è il suo romanzo di esordio nella scrittura narrativa. Il tema della solidarietà verso i più deboli quello che lo anima da una vita.

Appunti incontro con Alessandro Moscè

I MATTI DI UNA VOLTA

Le case dai tetti rossi (Fandango, 2022) di Alessandro Moscè
30 luglio 2022 CI.B.O.

Alessandro Moscè
Prima di tutto voglio dire che ho trovato Monte Porzio davvero accogliente. Sia da un punto di vista architettonico che urbanistico è un paese ben tenuto, con un centro storico curato e una piazzetta circolare straordinaria, come quelle di una volta. Non è affatto scontato che in un piccolo centro si organizzino degli incontri con l’autore e si possano presentare libri, cose che vi assicuro sono difficili anche a Roma e a Milano. 
Sapete bene che gli italiani sono refrattari alla lettura, soprattutto di testi letterari, che evidentemente sono impegnativi più dei libri à la page scritti da calciatori, cabarettisti, attori ecc. Mi occupo di letteratura da molti anni e ho rinunciato a fare l’avvocato, anche se sono laureato in Giurisprudenza, proprio per dedicarmi alla scrittura. 
Faccio il caporedattore in un giornale di provincia e scrivo come freelance in vari quotidiani, quali “Il Foglio”, dove recensisco libri specie di poesia. Ho pubblicato volumi di poesia, di narrativa e di critica letteraria. Le case dai tetti rossi è a tutti gli effetti un romanzo, che però non nasce dalla fiction, ma da un luogo evocativo realmente esistito: l’ex manicomio di Ancona. 

David Guanciarossa
Prima di presentare il libro di Alessandro Moscè mi sono informato sulla gestione dei vecchi manicomi di cui non si conosce quasi nulla. Ho letto un saggio del docente universitario Roberto Vecchiarelli, Cronache dal manicomio, ambientato nell’ex manicomio di Pesaro: un saggio, non un’opera di fantasia, abbastanza impegnativo, con racconti complessi. 
Ho appreso che la Legge Giolitti del 1904 regolarizzava gli ingressi e le uscite dal manicomio. Legge che è rimasta valida fino all’avvento della Legge Basaglia del 1980. 
Come si entrava in manicomio? Era abbastanza semplice: la segnalazione di un medico, di un sindaco o di un agente di polizia, in generale di un funzionario pubblico, dichiarava la non stabilità mentale o il pericolo per sé e per gli altri del soggetto indicato, consentendo così che quest’ultimo venisse accolto. 
Ben presto, in manicomio, il malcapitato diventava solo un numero. Si usciva “orizzontalmente”. Solo se si riscontravano dei miglioramenti e “fuori” c’erano parenti che potevano ospitare il manicomiato, il “miracolo” poteva avvenire, altrimenti si era condannati tutta la vita all’interno di quelle orrende strutture. 
Entravano in manicomio gli omosessuali, gli alcolisti, gli epilettici, la donna che “faceva la preziosa a letto”, chi era affetto da malattie oncologiche. 
Mi sono ricordato cha nel nostro gruppo di lettura avevamo letto un romanzo del pesarese Paolo Teobaldi: Il mio manicomio. Rammentavo poco di questo testo, ma imbattendomi nel saggio di Vecchiarelli mi sono tornate in mente le due porte del manicomio di Pesaro, che Teobaldi descrive molto bene: “la porta del morto” e la “trappola” o “la porta del matto”. Una porta nascosta era dipinta come il muro. Chi entrava in questa porta era giudicato un “matto pericoloso”. Veniva condotto con la carrozza lungo la via e spesso si agitava. I familiari fingevano di assecondarlo, gli facevano fare qualche passo e quando si trovavano vicino alla porta lo spingevano dentro. Gli infermieri lo prendevano in custodia mettendogli la camicia di forza. Il manicomio era una prigione a tutti gli effetti, come si può ben capire.

Alessandro Moscè
Le case dai tetti rossi: perché questo titolo, mi chiedete? Da Posatora, che è un quartiere di Ancona posizionato in alto, se negli anni Sessanta e Settanta si osservava la città verso il quartiere del Piano, si vedevano degli stabili che sembravano casermoni, rigorosamente con i tetti rossi. 
Si era soliti dire ai bambini: “Se non fai il bravo ti mandiamo ai tetti rossi”. I miei nonni materni abitavano in corso Carlo Alberto, a pochi passi dall’ex manicomio di Ancona, appunto dalle “case dai tetti rossi”. Sono stato sempre suggestionato da questo luogo di contenzione perché non capivo il significato della reclusione e perché mi dicevano di stare alla larga dal cancello di via Cristoforo Colombo, di non fissare i pazienti, chi era oltre quelle inferriate, insomma di girare al largo. 
Nell’estate del 1975 ero a passeggio con nonna Altera e non c’erano tutti gli agglomerati di adesso. Rimasi colpito da persone che gironzolavano tra i padiglioni e un porticato, i quali avevano, stranamente, degli indumenti molto più lunghi rispetto alla lunghezza delle braccia. Ciondolavano e la loro postura mi faceva sorridere. Da adulto ho capito che quella specie di pigiamoni non erano altro che camicie di forza. Se il matto dava in escandescenza bastava legare le estremità dietro la schiena. 
Per scrivere il romanzo ho compiuto un lavoro preparatorio di due anni. Non sono né un medico né uno psichiatra. Se si trattano taluni argomenti è necessario conoscere le basi del lavoro. Ho letto testi di psichiatria e contattato un amico psichiatra, il primo a leggere Le case dai tetti rossi e a darmi i consigli necessari. Il manicomio di Ancona veniva considerato un ricettacolo da parte dei cittadini, ed era così anche nelle altre strutture, in tutta Italia. 
Il romanzo non vuole mettere l’accento sul manicomio per quello che è stato, tanto che affronta soprattutto i grandi cambiamenti della psichiatria. Non l’avrei scritto se i manicomi non fossero stati chiusi, se quei cancelli non fossero stati aperti una volta per tutte. 
Il professor Guido Lazzari non è altro che la trasfigurazione del dottor Emilio Mancini, per tanti anni il direttore del manicomio di Ancona. Si rese conto che se le persone parlavano tra loro, se riuscivano a comunicare i sentimenti, se lavoravano continuativamente nell’atelier, se d’estate camminavano sulla spiaggia di Palombina, stavano meglio. L’aprire questa città separata da tutto il resto di Ancona significava fare un notevole passo in avanti. Le nuove disposizioni le aveva già pianificate il grande psichiatra Franco Basaglia nel manicomio di Gorizia. Ad un certo punto, con un colpo di genio, Lazzari dice che le pareti del manicomio si debbono tinteggiare, che quei colori grigi non vanno bene, che bisogna “avvalersi” di colori caldi. 
Le finestre, anche se avevano le inferriate, dovevano rimanere aperte. Venne pretesa la massima attenzione all’igiene personale. Non più camerate da quindici, venti persone, ma stanze con al massimo sei individui. Il personaggio al quale sono più affezionato, il giardiniere Arduino, intuisce che anche le piante e i fiori sono decorazioni utili a migliorare l’umore. Regala mazzi di rose alle donne, appositamente confezionate, lasciandole in fondo ai loro letti.

David Guangiarossa
Tra  i protagonisti del romanzo cito l’intransigente caposala suor Germana; Nazzareno che raccontava le barzellette ed era un balsamo per tutti i ricoverati; l’uomo giraffa che temeva di essere inseguito dai batteri; Carlo che voleva assomigliare al pirata Sandokan; Franca che sognava i nazisti, di notte, avanzare marciando verso le camerate e che si proteggeva ammassando materassi e mobili dietro la porta; Adele che ricordava di aver intravisto Mussolini a Fabriano, in incognito; Giordano che tifava per la squadra del Napoli e si immedesimava nel suo capitano Antonio Juliano. Sono tutti realmente esistiti? L’impressione è che la sua scrittura voglia in qualche modo redimere i pazienti, salvarli.

Alessandro Moscè
I protagonisti del romanzo sono il trasmutamento di persone che vivevano nei manicomi italiani. È  vero, in un certo senso c’è questo tentativo di aprire un orizzonte, visto che si intuiva prima della promulgazione della Legge Basaglia che fosse necessario ridare identità e dignità ai ricoverati nei manicomi. Ritengo questa legge la più grande conquista sociale dell’Italia del secondo dopoguerra, come lo furono anche i referendum sul divorzio e sull’aborto e lo Statuto dei Lavoratori.


Incontro con l’autore – 17 luglio

Castelli da conquistare o da difendere, opere d'arte misteriose e terrificanti, città sommerse, amori capaci di far perdere tanto la testa quanto la pelle, creature mitologiche, dei iracondi e santi guerrieri: questi sono solo alcuni degli esplosivi ingredienti che vanno a comporre il Libro della veglia, un testo pensato per funzionare da gradevole introduzione alla cultura tradizionale della Provincia di Pesaro e Urbino. Il Volume raccoglie ventotto tra le leggende e le storie più identificative del territorio e delle sue comunità, memorie in buona parte in via d'estinzione, scelte dai curatori del blog ilfederico.com nella duplice speranza di contribuire in tal modo a dar loro una seconda vita e al lettore di trascorrere qualche momento piacevole in compagnia d'un pezzetto di quel racconto ancestrale – e spesso poco conosciuto – fatto dei luoghi che sono lui propri e delle genti che li vissero.

 

 

 

 

 

 

24 marzo 2017 – Incontro con l’autore

Incontro 24 gennaio 2017

Giovanni e Francesco BelfioriLe parole mute del tempo

Lorenzo LicalziL'ultima settimana di settembre

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Una storia degli anni Ottanta.
La prima indagine del commissario Livio Bacci”.

Il libro
Nel suo primo caso Bacci si trova alle prese con un cold case: una vecchia storia degli anni Ottanta, fra il mare Adriatico, le feste estive sulla spiaggia, la musica dei Duran Duran, le grandi compagnie giovanili. A farlo tornare indietro nel tempo è un biglietto trovato nella cassetta delle lettere, con scritte poche parole e due date: “Giulia 1965-1983. Io so”. Giulia era la ragazza di Livio, un amore durato pochi mesi, quando entrambi erano diciottenni, e culminato con la sparizione della ragazza una sera d’estate, durante una delle tante feste in spiaggia. Chi ha scritto, dopo tanto tempo, quel biglietto? E perché? Livio Bacci, commissario quasi cinquantenne, collezionista di angeli, fumatore e boxeur, è chiamato ad affrontare i propri ricordi, i propri dubbi e la sconvolgente verità che si nasconde da trent’anni dietro il caso della ragazza Giulia.

Il romanzo è ambientato negli anni Duemila, ma un lungo flashback della memoria ci riporta alla torrida estate del 1983, l’anno successivo ai mondiali vinti dagli azzurri al Santiago Bernabeu di Madrid, l’anno dei 99 Luftballons della tedesca Nena e della Sanremo di Vita spericolata di Vasco Rossi, dell’arresto del conduttore tv Enzo Tortora e del primo governo a guida socialista. Per il giovane Livio, però, fu anche l’anno in cui tutto cambiò, in cui decise che forse il suo destino era quello di diventare uno “sbirro”.

Come comincia:
Restò così, con la mano aperta e un foglio accartocciato sul palmo: “Giulia 1965-1983. Io so” c’era scritto. Dunque, qualcuno sapeva. Livio, invece, si accorse di non sapere nulla, erano trascorsi trent’anni e per lui era ancora buio. Si fermò a leggere di nuovo quella riga vergata a mano sul foglio bianco. Chi avrebbe mai immaginato, quel giorno di primavera, che qualcuno infilasse nella sua cassetta della posta un foglietto bianco, racchiuso in una busta, dove tre parole e due date avrebbero rimesso in moto un passato che l’uomo credeva smarrito?

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Premio Selezione Bancarella 2016.

La vita è crudele, l'unica fortuna che hai è quella di accorgertene tardi e così, se proprio non sei un imbecille, riesci ogni tanto ad essere felice.

Pietro Rinaldi ha ottant'anni e vuole essere lasciato in pace. Ormai è convinto che la sua vita sia arrivata al capolinea e, mentre mangia penne all'arrabbiata, riflette su quanto i libri siano meglio delle persone. Se già fatica a sopportare se stesso, figuriamoci gli altri! Non ha proprio intenzione di avere a che fare con l'umanità… fino a quando, un giorno, nel suo mondo irrompe Diego, il nipotino quindicenne. Lui ha l'entusiasmo degli adolescenti e la forza di chi non si lascia abbattere dagli eventi, neanche da quelli più terribili, e non ha paura di zittire i malumori del nonno. Da Genova partono in direzione di Roma, a bordo di una Citroën DS Pallas decapottabile su cui sembra di volare. Sul sedile posteriore c'è Sid, l'enorme incrocio tra un San Bernardo e un Terranova – vera e propria calamità. Ed è così che un viaggio di sola andata si trasforma in un'avventura on the road, piena di deviazioni e ripensamenti, vecchi amori e nuove gioie. Perché è proprio quando credi di aver visto tutto che scopri quanto la vita riesca ancora a sorprenderti. "l'ultima settimana di settembre" è il racconto esilarante e commovente del viaggio di un nonno e un nipote alla ricerca di se stessi. È una storia che, senza giri di parole, scava nei sentimenti più profondi e ci porta di fronte alle emozioni più vere, quelle che richiedono una buona dose di coraggio per essere affrontate ma rimangono impresse indelebili dentro di noi.

Incontro 6 dicembre 2016

GUARDA ATTRAVERSO IL BUIO PER POTERLI CAPIRE

 

La storia viene raccontata dalle due voci narranti protagoniste: Sandra e Juliàn. Sandra è una ragazza, incinta, piena di insicurezze, che lotta contro i suoi fantasmi (un amore che non riesce a corrispondere, l'incertezza del futuro, la disoccupazione, etc.), mentre Juliàn è un ottantenne vissuto, saggio, addolorato dalla morte dell'amata moglie e dedito ad una vita di vendetta nei confronti di coloro che gliel'hanno rovinata per sempre: i nazisti protagonisti delle inumane sofferenze che ha dovuto subire a Mauthausen. Ed è proprio la vendetta che lo spinge in Costa Blanca, a finire il "lavoro" iniziato anni prima da un caro amico e che lo porterà a conoscere Sandra, ignara di essere diventata il centro di interesse di un gruppo di vecchietti che, sebbene tanto strani, suscitano in lei emozioni contrastanti.


La scrittura è fluida e la trama risulta inizialmente avvincente. Il lettore cade subito nella smania di capire dove la scrittrice intenda arrivare, vivendo il racconto alternato di due protagonisti tanto diversi.

Mi piacciono le trame che portano il lettore a documentarsi e ad approfondire tematiche ed infatti, conoscendo solo superficialmente la storia di Mauthausen, ho fatto ricerca ed appreso tante notizie che mi hanno aiutato ad entrare più in empatia con Juliàn.

Tratto da: http://www.qlibri.it/

Incontro con l’autore – Martedì 1 marzo 2016

Video incontro Enrico Vergoni 20/11/2015

Incontro con Enrico Vergoni – 20 novembre 2015

Incontro con l'autore "Enrico Vergoni".

 

 

 

 

Incontro con Cristina Petit 7 luglio 2015

Incontro con l'autore "Cristina Petit".

Sarà l'occasione per parlare di alcune sue pubblicazioni e confrontarsi con l'autrice.

 

 

 

 

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Alberto Lupo legge Kipling “SE”

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Arnoldo Foa legge Leopardi

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