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Gruppo di lettura – 9 marzo 2023
“Prima che si spenga l’unico occhio che mi è rimasto in vita, quello sinistro, con la palpebra che scende giù da sola, vorrei raccontare le disavventure che anni addietro mi hanno portato sulle rive di un fiume rimasto nascosto negli anfratti del creato”.
La voce di Ugolino Contarini rimesta tra i reperti di un passato irraggiungibile segnato dalla solitudine, dalla discriminazione, dalla migrazione, dal desiderio di rinnovamento, dalla ricerca di un’identità nuova dopo i traumi, dal radicamento e dal distacco dal noto. Il protagonista di Verde Eldorado passa le sue giornate relegato in una gabbia dorata col cappuccio perennemente calato sul volto a studiare il Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena e a struggersi segretamente per l’amica di sua sorella.
Nella società veneziana del XVI secolo avere un volto come il suo è ritenuto un orrore da nascondere.
Estromesso dalle attività di famiglia, verrà imbarcato per volere del padre nella spedizione di Sebastiano Caboto alla volta delle Isole Molucche con il compito di redigere il diario di bordo di un’impresa che rivelerà esiti imprevisti.
A stravolgere i piani, la fascinazione per i racconti dei pochi sopravvissuti al viaggio di Juan Díaz de Solís che indurrà il Piloto Mayor a tradire gli accordi con la Corona di Spagna per addentrarsi nel Río de la Plata e risalire i fiumi Paranà e Paraguay.
Proprio allora, tra massacri e rapimenti a opera degli indios, una svolta sancirà la rinascita di Ugolino nel mondo ignoto dei guarenyes. La salvezza grazie al suo volto deturpato gli varrà il riconoscimento di Kulumanè-Jajay-Karai (“uomo che i Karai hanno salvato la vita dalle fiamme”).
Valeria Gramolini
Ci sorprende piacevolmente ancora una volta lo scrittore argentino ospitato più volte dal gruppo di lettura di Monte Porzio. Questa volta il "ritorno" nel paese natale ha come pretesto una fase della storia mondiale segnata da conseguenze decisive per l'umanità: la scoperta e l'esplorazione delle Americhe del Sud.
In questo racconto ADRIAN BRAVI indossa i panni di un ragazzo veneziano sfigurato da un incendio, il quale viene fatto imbarcare dal padre, commerciante di tessuti, su una nave in partenza per le Indie. Si tratta niente meno che della avventurosa spedizione di Sebastiano Caboto lungo le rive del Paraguay prima e del Rio della Plata poi, alla ricerca del mitico Eldorado. Infatti anche lui, come Colombo, convinto di andare ad Est, si ritrova invece ad ovest, dove incontra diverse tribù di indios, tra le quali una dedita al cannibalismo.
Sulla base dunque di fatti storici reali e documentati avvenuti nel 1527 l'autore ci fa rivivere attraverso gli occhi di quel giovane navigatore, il cui compito è quello di registrare gli avvenimenti sul libro di bordo, tutto il pathos delle grandi avventure, fatte di curiosità ed intraprendenza, coraggio e paura…e una buona dose di follia, come ogni viaggio verso l'ignoto. Con Ugolino torniamo quei ragazzi che lessero L'isola del tesoro o I viaggi di Gulliver, ma anche riflettiamo sul valore duplice di quelle imprese grandi e sconsiderate allo stesso tempo, le quali hanno reso il mondo più piccolo mentre concorrevano alla distruzione di popoli che non potevano competere con l'avidità ed i mezzi dei conquistatori.
Il confronto tra le conoscenze, le credenze, i valori, i modi di vivere e di rapportarsi alla natura dei nativi e quelli degli esploratori solleva domande e reazioni impreviste, e le mille congetture che diversità ed incomprensione comportano. La nudità, la semplicità, la mancanza di gerarchie, e la quasi totale condivisione dei beni o la mancanza dei ruoli sono catalizzatori di simpatia, anche dopo lo scotto dell'antropofagia rituale e a dispetto della superiorità culturale dell'uomo bianco.
Eppure chi l'ha detto che questi ultimi non abbiano qualcosa da imparare dai primitivi? Si può dire con certezza che un linguaggio striminzito che usa lo stesso termine per indicare pesce e mare, o una rappresentazione del divino che si identifica con la natura siano davvero poca cosa rispetto alla complessità dei linguaggi evoluti e ricchi di definizioni o alle sofisticate teorie teologiche-filosofiche del più volte citato PERIPHISEON di Scoto Eurigena, unico ed ultimo legame tra Ugolino e la sua terra natale? Sono queste le considerazioni che emergono dalla lettura del libro, considerazioni basilari quando di deve e si vuole scegliere dove sia meglio vivere, le stesse che formula Ugolino al momento di valutare se la sua patria sia Venezia, dove il suo aspetto orripilante deve essere nascosto da un cappuccio, oppure quella dove, proprio grazie a quel corpo deturpato e diversamente valutato, acquista un ruolo di prestigio, anche se immagina facilmente ciò che di lì a poco accadrà a quelle genti. Ed è una domanda che molti altri si pongono ogni giorno in questo mondo dove ogni incontro tra diversi può generare cose tanto meravigliose quanto orribili.